Chi è Annalisa Cima?
Annalisa è nata a Milano, da una famiglia di industriali della carta, famiglia originaria di Lecco, ma con mescolanze franco-piemontesi, da parte della nonna paterna, e perfino origini ebraico-austriache attraverso la nonna materna, Alice Anna Schlesinger, che apparteneva ad una delle famiglie più illustri della diaspora viennese. Francesco Cima, il nonno prediletto di Annalisa, era un imprenditore illuminato; antifascista
gobettiano, durante la guerra fu costretto a riparare in Svizzera. Era un uomo intelligente, colto, una sorta di mecenate silenzioso, qualità rara proprio partendo dall'immagine di questo nonno amato, che Annalisa Cima fa un rapido autoritratto, soprattutto un quadro delle sue aspirazioni e passioni giovanili. Credo sia meglio lasciarla parlare. "Sono stata troppi anni con me stessa per poter essere obiettiva nel descrivermi" dice Annalisa. Cercherò quindi di ricordare osservazioni o frasi del nonno.
Il nonno diceva che è difficile scorgere le grandi anime, perché si nascondono; si può scorgerle, di solito, da particolari minuscoli. La gloria non mi interessa, ho sempre cercato di nascondermi, ma non so se questo basta per essere un'anima grande; so che mi sta a cuore far del bene e che tengo sempre presente che tutto passa, tutto sfuma, solo il sentire profondo, mosso da profondi affetti non finisce, subisce metamorfosi, muta, ma non muore.
Ho sempre cercato l'amicizia di chi mi somiglia, persone che amino il bello, per non perdere quel senso dell'estetica e dell'etica che avevo innati, così sosteneva il nonno. Fui avvantaggiata dall'essere cresciuta nella casa dei nonni, attorniata da persone straordinarie: i nonni, sereni e buoni, Angelica l'istitutrice generosa e attiva, l'adorata Colombina, la cuoca, che vide nascere mio padre e che morì nella nostra casa, Giuseppe l'autista, ed altri domestici.
Sono nata a Milano, in via Cosimo del Fante, ma ho vissuto l'infanzia in un vero Eden.
La villa dei nonni, in campagna a San Giovanni Bianco, era circondata da un parco enorme con un laghetto e piante secolari, grottino e viali alberati, fontana e stallino con un vero pony, scoiattoli e tortore che popolavano un meraviglioso giardino. n quella condizione felice, vedevo il mondo esterno come un pericolo. Ancora oggi vivo in un sogno che non è stato intaccato da calunnie o falsità.
Sì, il mondo mi ha sempre fatto paura per la sua incoerenza e aggressività, in una vita che si consuma brevemente e con tanti problemi importanti da risolvere ai quali ci si potrebbe dedicare. Quando da bambina mi chiedevano chi volevo essere, rispondevo: voglio essere un filosofo, un santo o un poeta.Le persone anziane, distaccate, serene, sono sempre state i miei interlocutori preferiti. L'attaccamento alle cose, l'arrivismo che spesso riscontravo nei coetanei, mi inducevano ad allontanarmene.
Ci vuole molto coraggio per far scelte rinunciatarie e spesso si resta soli, ma che bella solitudine quella di chi è in compagnia di un libro, di un vero amico e dei propri pensieri.
Ipotesi d'amore era il titolo di un mio libro di poesie, con prefazione di Marisa Bulgheroni;forse è proprio così: per me la vita è un'ipotesi continua d'amore. Sotto forma d'amicizia o di passione, di ricordo o di desiderio. A cosa serve l'intelligenza, alla quale mio nonno s'appellava? A vivere con gioia i ricordi, ad approfondire la conoscenza, per un presente che appaghi e un futuro colmo di progetti. E per finire sono esigente con gli altri, perché lo sono anche con me stessa".
Lo sanno bene gli amici, come Vanni Scheiwiller che conobbe Annalisa in modo piuttosto casuale. Nel 1967, entrò nella Galleria Cavour, a Milano, per dare una occhiata alla mostra di una nota pittrice, attratto da quei paesaggi lunari o infuocati, e certo anche dalla fotografia della loro autrice, stampata in catalogo.
Questa pittrice era Annalisa Cima, che se ne stava circondata da una corte di amici, pittori, critici. "Annalisa" scrive Scheiwiller "aveva conservato qualcosa di adolescenziale, dispettosa e arguta, nello sguardo un fondo di tristezza che rivelava un vissuto doloroso. Era insomma un miscuglio di malinconia e gaiezza, e forse per questo Montale in una poesia che le dedicò nel '73 la chiamò "Agrodolce".
In quegli anni avevo avuto un piccolo dissapore con Ungaretti (non mi perdonava l'epigramma del mio carissimo Giacomo Noventa) e pensai di rabbonirlo mandando da lui, in veste di 'messaggero', la Cima. Ungaretti non solo si riconciliò con me, ma accettò che Annalisa gli dedicasse un librino, un 'occhio magico' dal titolo Allegria di Ungaretti e donò tre poesie inedite per il volumetto; le fotografie erano quelle di Ugo Mulas, scattate a Venezia. Compresi che la Cima era capace di trasformare un 'irascibilè come Ungaretti in un nonno benevolo, suscitando sentimenti d'amicizia non solo in coloro che come Palazzeschi e Montale, erano già predisposti.
La Cima aveva il tipo di qualità che trascende il quotidiano: "... è il segno / che travalica gli umani", dice Montale nel Diario postumo. In trent'anni abbiamo spesso litigato a sangue, ma le controversie alla fin fine non hanno scalfito la nostra amicizia. Entrambi, illusi, non desideriamo altro che unÀ età dell'oro' delle arti e viviamo cercando negli altri chi condivida il nostro obiettivo: io sempre come editore (non so fare altro) e la Cima dapprima nella pittura e poi attraverso la poesia. Si costruisce così un romitaggio di amicizie vere dove rifugiarsi dal frastuono e dalla mondanità, sempre alla ricerca di otium literarium che è poi una vita activa, piena di ansie, vicissitudini, delusioni.alle cose, l'arrivismo che spesso riscontravo nei coetanei, mi inducevano ad allontanarmene. Ci vuole molto coraggio per far scelte rinunciatarie e spesso si resta soli, ma che bella solitudine quella di chi è in compagnia di un libro, di un vero amico e dei propri pensieri. Ipotesi d'amore era il titolo di un mio libro di poesie, con prefazione di Marisa Bulgheroni; forse è proprio così: per me la vita è un'ipotesi continua d'amore. Sotto forma d'amicizia o di passione, di ricordo o di desiderio. A cosa serve l'intelligenza, alla quale mio nonno s'appellava? A vivere con gioia i ricordi, ad approfondire la conoscenza, per un presente che appaghi e un futuro colmo di progetti. E per finire sono esigente con gli altri, perché lo sono anche con me stessa".
Lo sanno bene gli amici, come Vanni Scheiwiller che conobbe Annalisa in modo piuttosto casuale. Nel 1967, entrò nella Galleria Cavour, a Milano, per dare una occhiata alla mostra di una nota pittrice, attratto da quei paesaggi lunari o infuocati, e certo anche dalla fotografia della loro autrice, stampata in catalogo.
Questa pittrice era Annalisa Cima, che se ne stava circondata da una corte di amici, pittori, critici.
In questa chiave va letta la lunga amicizia fra una poetessa dal carattere non facile che dice sempre quello che pensa, e un editore altrettanto caparbio e irriducibile, 'amici per la pellè avrebbe detto Palazzeschi o 'intramontabili ragazzi, sempre pronti allo scherzo', come mi ha detto Umberto Eco l'altro giorno al telefono, accomunandosi a noi".
Fu Vanni Scheiwiller, l'ho già anticipato, a fare incontrare Montale e Annalisa Cima nel 1968. Una mattina del 1969, Annalisa andò a trovare Montale e come al solito sedette di fronte al De Chirico che campeggiava nella parete. Gli aveva portato in regalo una copia di Terzo modo, il suo primo libro di poesie pubblicato da Vanni Scheiwiller.
Il giorno successivo quando tornò da lui, Montale l'apostrofò così: "Leggi e dimmi se sei d'accordo". Annalisa lesse e trasecolò: si trattava d'un articolo su Terzo modo così elogiativo da lasciarla senza fiato. Montale disse che voleva farlo pubblicare sul "Corriere".
Annalisa lo pregò di lasciarla camminare sulle sue gambe e disse che, pur essendogli molto riconoscente, desiderava tenere lo scritto per sé sola: sarebbe stato il loro segreto. Da quel momento, Montale ebbe la certezza che il loro era un rapporto disinteressato, fra due amici alla pari.
"Tornava spesso sull'argomento delle mie poesie, dicendo che erano inquietanti ma limpide. La sua preferenza era per le ultime quattro poesie del volumetto: 'La formÀ, Colloquio', 'Terzo modo', 'Contestato il sistemÀ, proprio quelle che erano piaciute anche a Marianne Moore. E allora gli dissi chèContestato il sistemÀ era stata tradotta anche da Allen Ginsberg e Montale volle leggere la traduzione in inglese.
Pur accondiscendendo al mio desiderio di non pubblicare l'articolo sul 'Corrierè, volle presentare il libro insieme a Scheiwiller e a me alla Libreria Cavour di Milano". Ci sono ancora aspetti della vita e del carattere di Annalisa che il suo "autoritratto" non ha contemplato, ma che integrano la sua figura: riguardano specialmente l'infanzia, l'educazione e la particolare esperienza della malattia.
Ho già detto che Annalisa nacque in una famiglia, molto agiata, di industriali della carta. Il padre Titta, originario di Lecco, era l'unico figlio di Francesco Cima e di Elisa Teresa De Thoma Mauri. La nonna paterna apparteneva ad una famiglia piemontese. I De Thoma erano originari di Torino con ascendenze francesi, s'erano però trasferiti a Lecco. La madre, Ileana, nata a Vienna, era la sola figlia di Alice Anna Schlesinger che apparteneva a una delle famiglie più illustri del Gotha ebraico viennese.
Il padre di Alice Schlesinger era infatti il titolare della banca Schlesinger di Vienna. Egli non voleva che la figlia sposasse un non-ebreo e così ostacolò a lungo il suo matrimonio con il nonno Nicola Gottfried, conte di Pappenheim, adottato dallo zio Bentia.
"Negli anni cruciali dell'Olocausto, mia nonna si rifugiò in Svizzera, la sorella in Canada, mentre il fratello fu deportato. Le vicissitudini familiari e il tracollo della famiglia Schlesinger, avevano reso la nonna molto infelice, si consolava suonando il pianoforte; prima d'ammalarsi di polmoni era stata infatti una bravissima concertista".
Sfortunatamente , il matrimonio dei genitori di Annalisa non durò a lungo: ci fu una separazione e la bambina e il fratello, crescono con i nonni paterni. Nel 1941 (Annalisa ha quattro mesi), la famiglia Cima si trasferisce da Milano a San Giovanni Bianco e in Svizzera, spostamento che doveva aver non poca importanza, in futuro, per Annalisa. Questi due luoghi, San Giovanni Bianco e la Svizzera, sono i luoghi della sua formazione umana e culturale, che comincia con le elementari a quattro anni, come privatista. Sono anche la scena su cui si muovono le persone (in particolare i nonni e l'istitutrice Angelica), molto importanti per l'educazione della bambina.
La ragazzina Cima torna a Milano a otto anni e mezzo e frequenta la scuola. Tra il 1954 e il 1955 sono gli anni in cui è presa da una grande ammirazione per il famoso dottor Schweitzer, medico e musicologo, fondatore di un lebbrosario in Africa. Anche lei si esalta all'idea di divenire medico e di dedicarsi ai sofferenti. Questo episodio, raccontato da Annalisa Cima a Rita Levi Montalcini quando si conobbero nel 1982, fece levitare una grande simpatia, infatti anche la scienziata aveva da giovane desiderato seguire il dottor Schweitzer. Purtroppo nel 1956 Annalisa si ammala di tubercolosi e deve cambiare profondamente il ritmo della sua vita di adolescente.
Questa malattia diventerà un elemento essenziale della personalità di Annalisa, la segnerà a fondo e ricomparirà nei momenti critici.
"Quando mi ammalai" racconta "le mie amicizie si concentrarono sulle persone anziane, che facevano una vita molto tranquilla, come la mia. Dovevo passeggiare, mentre le ragazzine della mia età si dedicavano a sport e ad attività più vivaci. Non fu una grande rinuncia quella di lasciare gli sport che non avevo mai amato, ma la malattia cambiò totalmente il mio rapporto con le persone e con la vita. In Svizzera, per esempio, dove soggiornai a lungo, conobbi lo storico Marc Slonim e il grande architetto Alberto Sartoris, che divennero miei amici; erano persone molto più anziane di me, ma che avevano una visione della vita simile alla mia.
Il primo anno e mezzo lo trascorsi in montagna dove guarii con le medicine allora in uso. Mi furono vicine poche persone; le altre, le più giovani, si dileguarono. Capii come il mondo e la gente fossero disumani: quando una persona esce dagli ingranaggi della società, viene presto dimenticata; le restano fedeli solo pochi disinteressati e veri amici.
Così, a quindici anni vissi la desolazione della vecchiaia, capii che una persona anziana è come una persona malata. La malattia mi fece sentire diversa. L'impressione che gli altri avessero paura d'avvicinarmi mi perseguitò per molto tempo.
Musica, pittura e scrittura divennero, oltre che un'esigenza fondamentale della vita, anche il necessario rifugio; i libri non mi avrebbero certamente mai tradita. Come Montaigne, li accarezzavo negli scaffali della biblioteca e me ne portavo intere valigie in montagna. La malattia mi aiutò, aumentò in me quel senso di isolamento già latente. In quegli anni, cominciai anche a dipingere sotto la guida di Pietro Servalli. Ma, nonostante sia il pittore Gregorio Sciltian che il critico Marco Valsecchi ammirassero i miei quadri figurativi, passai presto all'astrattismo.
Nel 1964 esposi alla Galleria Flaviana di Locarno, e alla Galerie Kasper a Losanna, fecero seguito una ventina di esposizioni tra le quali: alla Galleria del Cavallino di Venezia nel 1965, a Bruxelles e alla Galerie Riquelme di Parigi nel 1967.
A Milano, alla Galleria d'Arte Cavour, conobbi Scheiwiller che preparò nel 1968 una monografia: un volumetto della serièil Quadrato', all'Insegna del Pesce d'Oro, con una presentazione del critico e architetto Alberto Sartoris. Fecero seguito alcune mostre in America, Brasile e Giappone, mentre stavo allestendo con Alan Solomon una tournée di altre dieci mostre negli Stati Uniti, a Roma Giulio Carlo Argan preparava lo scritto per una monografia da Pubblicare nelle Edizioni d'arte Fratelli Pozzo.

Alice Anna Schlesinger









Francesco Cima, il nonno 
prediletto da Annalisa








Il nonno Francesco Cima, 
la nonna Elisa e la zia Maria
a San Giovanni Bianco, 1922







L'istitutrice Angelica tra 
Francesco alla sua sinistra e
Annalisa








La villa di San Giovanni Bianco








Marisa Bulgheroni, Cesare Segre, 
Annalisa Cima, Silvio Riolfo e Gianna Paltenghi 
alla presentazione di Ipotesi
d'amore a Lugano




















Da sinistra : 
Giuseppe Caldara (l'autista), 
Giovanni Battista Cima (padre di Annalisa), 
Lisetta Steffanoni Pandini 
(cugina di Giovanni Battista)

















Vanni Scheiwiller ed Eugenio Montale, Libreria Cavour di Milano, presentazione 
di Terzo Modo di 
Annalisa Cima, 1996



















Annalisa Cima alla Galleria 
Kasper, Lausanne, 1964













Giuseppe Ungaretti e 
Annalisa Cima.
Ungaretti presenterà 
all'Università di Harvard il volumetto di 
A.Cima Allegira di Ungaretti









Aldo Palazzeschi e 
Annalisa Cima a Roma, 1969
(foto di Alberto Lattuada)








Annalisa Cima e Marianne 
Moore a New York, 1968
(foto di Ugo Mulas)








Annalisa Cima e Allen Gisberg a Venezia, 1969
(foto di Franco Bottino)










Eugenio Montale e 
Annalisa Cima
alla Libreria Cavour di 
Milano, 1969 









Giovanni Battista Cima 
(detto Titta)
padre di Annalisa













Elisa Teresa de Thoma Cima,
nonna paterna di Annalisa









Ileana, madre di Annalisa



Annalisa Cima e Rita Levi Montalcini nella casa della Montalcini a Roma, 
1996 (foto di Rino Bianchi)




Annalisa Cima e Gregorio 
Sciltian a Milano 
nello studio del pittore, 1959















Alice Anna Schlesinger 
nel giardino della villa di Graz
in compagnia della figlia Ileana 
e del marito Nicola Gottfried 
conte di Pappenheim