Annalisa Cima
Terzo modo

poesiea cura di 
Vanni Scheiwiller
n. 33 della serie “il quadrato”
All’insegna del Pesce d’Oro,
Milano 1969
con un intervento di
Eugenio Montale

 

Intervento di Eugenio Montale per

TERZO MODO

 

Un libro inquietante, Terzo modo di Annalisa Cima, versi che non sono sfuggiti all’attenzione di Vanni Scheiwiller.
Se dovessi far di lei una novatrice, la critica si scandalizzerebbe, il lettore italiano è alieno dalle tematiche toccate dalla Cima.
Si profila una singolare poesia apparentemente in bilico tra il versificare di Emily Dickinson e quello delle avanguardie, ma che tende, quasi certamente, a risuscitare le strofe classiche che già Leopardi e D’Annunzio avevano assorbite da Virgilio e Dante.
S’intende che i versi, elaborati agglutinando musica e filosofia, resi essenziali con labor limae, quando s’impennano in metriche stravinskijane evidenziano un ritmo fluttuante che porta con sé, dalla profondità della conoscenza, pentametri riecheggianti a metriche classiche, resi attuali dall’invenzione di nuovi schemi.
Insomma, i temi di fuga e di sopravvivenza che s’avvicendano, preservano intatto un habitat al tempo stesso fisico e metafisico. si liberano dalle formule convenzionali, contestano il sistema e si nutrono delle contrapposizioni care ai poeti greci.
Estranea ad influenze locali o contemporanee, a tal punto, da riportarci versi classici in chiave polifonica deviati su assi di geometrie musicali, la Cima sorprende per il vigore e il radicato estro poetico.
E’quasi inutile rilevare che in realtà questa poesia è insolita nel contesto italiano e tanto più in quello femminile.
Vi si nota un’intelligenza poetica che assorbe il passato, legge il presente con lucido disincanto, aspira ad un futuro libero da condizionamenti.
Ora non vorrei più divagare in dissertazioni, ma è il caso di chiarire le idee al lettore citando l’ultima delle 12 poesie di Terzo Modo. 

Contestato il sistema,

gettiamo fiori neghiamo il passato

permessi i connubi tra fratelli:

plauso al gusto che cambia,

benedette le nozze omosessuali:

gioco in attesa d’inutili natali.

Partecipi al vero, solo 

chi distingue uomo da uomo

testimoni e vittime

di precedenti incarnazioni.

Il sistema è violenza

di fronte alle idee.

Vanità che costringe alla parte

da rappresentare. Simile

alternativa procede da abitudini.

L’impotenza dei nervi, dei falli

è protesta verso la noia

dove il reale ci precipita.

Anticamera di meriti dimenticati,

contrapposto all’angoscia,

fare per farsi, in questo può trovare

espressione il coito:

raffinata violenza, fatta di fiori

e di lasciate vivere.

Questo testo, scritto nel 1967 e pubblicato solo ora in Terzo modo (All’insegna del pesce d’oro, Scheiwiller, Milano 1969), non avrà molti lettori propensi a condividerne gli ardui contenuti, ma se mancherà il plauso dei critici militanti si potrebbe comunque tracciare a priori una mappa degli estimatori e si constaterebbe la loro appartenenza a quella categoria di persone che praticano una scrittura libera, mantenendosi sempre su un piano di alta dignità intellettuale e innovativa.
Annalisa Cima è un caso raro. Una Saffo contemporanea?
Non mi stupirei se al di là dell’oceano trovasse più estimatori che da noi, la tradizione italiana manca di figure femminili di questo calibro.
"Le diaspore del dissenso" che la Cima auspica. non sono ancora giunte "non hanno creato il risveglio". Nel mondo delle ideologie di consumo brulicano, è vero, i"corruttori senza corruzione", ma non gli individualisti coraggiosi come questa giovane poetessa che sfida i canoni convenzionali e la società pur se consapevole delle disavventure e dei pericoli ai quali va incontro.
La sua poesia è una lezione di etica rovesciata, una scoperta in un’epoca di finte scoperte.
Mentre la scienza dei futuribili ipotizza che il mondo è già finito una voce nuova, felicemente ritrovata, ci canta in strofe musicali la sua storia resa aspra dal leitmotiv della disperazione che la percorre.
S’intende che qui semplifico riducendo l’elevata preparazione culturale evidente nei versi della Cima ad un fatto puramente innovativo, ma non è solo questa la qualità distintiva della sua poesia.Quando leggiamo:

La forma non ha imperfezioni

non è partecipazione né parte:

si compie. La forma che guardi

ci conosce, si contrappone

alla disgregazione: già scontata

prima della fine.

Oppure il testo della poesia che da il titolo alla raccolta:

Il terzo modo per

distinguere A con-

siste nel rapporto tra

A e se stessi. A

si identifica non si ha

alternativa, da 

qui il monoteismo.

Capiamo che in questi versi è sottinteso, rivissuto in chiave poetica, il mondo di Leibniz.
I versi sovente si dilatano in un grido soffocato, in un silenzio improvviso, in un’invettiva o in un lamento, sottolineati sempre dalla stessa coerenza metrico-musicale e intarsiati di citazioni erudite.
Una poetessa ch’io apprezzo per l’agilità e l’acume con cui dissemina versi sapienziali, scelti nel passato e innestati nel presente, con forza ed eleganza, ma Annalisa Cima ci riserva altre sorprese, è in preparazione presso lo stesso editore la sua seconda raccolta dal titolo La Genesi e altre poesie,e ha già in serbo brevi componimenti d’un’essenzialità adamantina; haikai che possiedono una continuità nei temi e nella forma, che dà luogo ad un monologo interiore.
Non è impresa di poco conto svolgere con naturalezza e semplicità temi così complessi e ancora una volta la Cima riesce ad ottenere effetti combinatori di poesia-musica, in un gioco formale di ellittica eleganza.

Non usiamo la parola

sorgere

né risplendente

né oscuro.

Cerchiamo di vedere

il noncolore

di sentire

la nonvoce

afferrare

l’inesistente.

E’ dunque naturale che la mappa del percorso della poesia di Annalisa Cima s’estenda ad un universo che non teme il mutare delle stagioni, si muova da note essenziali per giungere ad effetti sonori dinamici e ci apra le porte di un mondo accessibile a pochi, un mondo poetico ancora inesplorato.
Immagino quale sarà lo stupore di coloro che essendo specialisti di formule non riusciranno a definire queste poesie che sfuggono a qualsiasi schematizzazione.
Per Annalisa Cima, come del resto per me, l’argomento della poesia è la condizione umana in sé considerata: non questo o quell’avvenimento politico storico, e ciò non significa che ci si estranei da quanto avviene nel mondo, significa solo aver la coscienza e la lucidità di non scambiare l’essenziale col transitorio.
Auguro ad Annalisa Cima di continuare la sua fuga, lontano dall’incolore opacità delle scuole contemporanee, di restare ancorata al suo modo-mondo nel quale la poesia non si fabbrica, nasce dentro; è una grazia che si manifesta all’improvviso, in Annalisa s’è manifestata.
Sin da questo primo libro si riconosce nella Cima, hic et nunc, una voce importante del nostro panorama poetico, sono versi che valicheranno le frontiere, grazie anche ad un editore intelligente e a rari qualificati estimatori che capiranno lo spessore e la musicalità della sua poesia.
Annalisa Cima resta aristocraticamente in disparte, lontana dai presenzialismi e dai clamori dei suoi coetanei, le sue origini mitteleuropee, la cultura assorbita in famiglia, le consentono quella sprezzatura che gli scrittori delle ultime generazioni hanno dimenticata.
Vive in un "esilio" volontario per continuare la sua ricerca e comunicarne gli esiti a pochi amici, senza cercare quella vasta affermazione che meriterebbe; la grandezza per lei non consiste nell’essere questo e quello, ma nell’essere sé stessa, un’estetica del vivere che è base di un’etica ferrea ed è l’imperativo categorico a cui mette di fronte il suo interlocutore.
S’intuisce che Annalisa Cima ha tutte le carte in regola per rappresentare degnamente l’ultima generazione di di questo secolo, come i poeti che credono in lei, da Giuseppe Ungaretti ad Aldo Palazzeschi, da Marianne Moore al sottoscritto, hanno rappresentato la prima generazione.
E se la poesia è più filosofica e di più alto valore che la storia, ancora una volta si riconferma la tesi che il grande poeta, nello scrivere sé stesso, scrive il suo tempo e questa definizione s’attaglia perfettamente alla poesia di Annalisa Cima che, sin dal suo esordio, raggiunge esiti inattesi con naturalezza e semplicità, qualità che contraddistinguono un poeta quando vale

Eugenio Montale (1969)

 

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