Annalisa Cima
postfazione a
DIARIO POSTUMO
di Eugenio Montale,
Arnoldo Mondadori Editore,
Milano, 1991
E il caso volle che, conosciutami, vedesse in me tratti che lo rassicuravano: quella malinconica-allegria, il coraggioso-spleen; la sete d'amicizia fine a sé stessa e un certo amore per il paradosso.
Poi seguirono le piccole prove: una poesia, una critica, un dono, per saggiare il terreno.
Nella sua giovinezza, Montale aveva appreso che la musica e la poesia distraggono dalla cupezza della vita e dalla noia che gli altri ci procurano; vincono insomma la malinconia che accompagna ogni nostro gesto. Nella vecchiaia, d'improvviso, l'amicizia gli era sembrata l'unica via d'uscita per assaporare il piacere di una proiezione che lo distraesse dal senso d'impotenza che lo aveva accompagnato per tutta la vita: impotenza a combattere gli altri, paura del presente, ma anche dell'ignoto, del futuro. E riempire questo futuro con un progetto concreto forse gli sembrò il modo migliore per esorcizzarlo.
Capii, allora, che il progetto lo tranquillizzava, lo divertiva; era un modo per farsi ricordare a dispetto della morte, un modo poetico di sfuggire alle regole del tempo.
Accettai, dunque, la rosa di poesie che volle affidarmi a continuazione di quell'opera che egli stesso aveva detto "bisogna leggere nella sua totalità". E mentre mi persuadeva dell'importanza di questo continuum, che solo poteva vincere la morte, il suo volto si rischiarava all'idea del segreto che lo avrebbe aiutato e distratto anche nei momenti più tristi.
Ad ogni incontro, mi annunciava una sorpresa, una poesia, spesso un gioco, per integrare il progetto.
I dialoghi sugli amici, di solito, precedevano le poesie che immancabilmente mi donava.
Un immaginario staterello di persone nominate, una comune-castello prendeva forma poco a poco, e in essa l'imperatrice, con a fianco i suoi consiglieri.
Forse, più che un diario, questo dono di Montale a tutti noi è una favola che ci racconta come la forza dell'amicizia e della poesia possano rendere reale un sogno.
Per non lasciarci sconfiggere dalla morte dobbiamo avere un sogno da proseguire, sembra suggerirci Montale. La sua religione fatta di oggetti, di presenze ai margini dell'esistenza e di musica, può essere riassunta nel bel verso "Tutta la vita è una musica" che sfocia in questo canzoniere del divenire.
Il significato del suo piano prestabilito è forse un desiderio di eternità, di un futuro da opporre all'approssimarsi della morte.
Da vecchi non si può vivere solo di memorie, Montale voleva "una morte che vive"; e la cercò attraverso una lente arbitraria, per poter mettere a fuoco le ombre usò una fotografia rovesciata, per dare al dopo il sapore del presente.
Occorreva un tempo riflesso, scandito, quasi a voler significare che anche lo spazio senza fine ha dei suoi ritmi e dei destinatari.
" questo il suo ultimo atto d'amore verso le persone a lui care (la moglie "Mosca", la governante "Gina"), gli amici critici e poeti (da Segre a Marisa Bulgheroni, a Vico Faggi, da Zanzotto a me), e come per il passato anche una persona vista solo quattro volte (Paola Brovedani) e Adelheit già apparsa in "Diario del '71 e del '72".
I motivi ricorrenti sono quelli della paternità fisica, della maternità poetica, che fanno riecheggiare i versi ben noti di Montale: "tutto comincia quando tutto pare / incarbonirsi…".
Susseguirsi di ricordi, dunque, di spezzoni di vita, di condanne al consumismo, all'utilitarismo e ritratti d'amici: nulla è cambiato, solo l'ordine dello spazio e del tempo, che il poeta rovescia, regalandoci una vita atemporale e un dopo con un suo tempo del vivere ben prestabilito.
L'oblio si rivela come uno stato d'impotenza dell'essere mortali; da qui la saggia follia di chi, per riempire un vuoto, inventa un nuovo senso della vita attraverso poesie che ci invia dall'aldilà.
Lo spazio della suprema incertezza si trasforma in un tempo preciso: undici anni. La presenza del poeta assente è la conferma dell'uomo tragico celato in Montale che, conscio che tutti gli oggetti e cose inanimate ci sopravvivono, cerca un'eternità nell'imitazione delle loro esistenze. Lasciare erede qualcuno non è solo un atto di magnanimità, in questo caso è un modo per restare materiato in fogli, buste, scritti, è l'esigenza di creare un mondo dopo di noi dove la presenza della parola sia attualizzata, rivolta all'amico in quell'istante prezioso che è il presente.
Montale, dunque, visitatore dell'altro mondo, compie un viaggio nel dopo per desiderio di una seconda vita; questa è la chiave dell'enigma che lasciò sotto forma di dono.
Postilla
Ho conosciuto Montale nel 1968; l'anno seguente nel descrivere il suo progetto di farmi depositaria delle poesie che mi avrebbe via via consegnate e che dovevo pubblicare a scadenza annuale dopo la sua morte, mi donò due poesie: "Mattinata" e "La foce" (1969).
Spesso i componimenti erano a tema libero, altri nascevano da conversazioni e da incontri con comuni amici che stimavamo.
Quando la serie delle 66 poesie fu completata, Montale le volle dividere in buste che contenevano ognuna sei poesie. Ciascuna delle 66 poesie è manoscritta, firmata dal Poeta e dedicata. I testamenti olografi che le accompagnano, sono depositati in copia conforme presso l'ufficio legale della Mondadori.
Nel 1986 la Fondazione Schlesinger diede inizio alla pubblicazione delle poesie inedite di Montale.
Il presente volume raccoglie le 24 poesie pubblicate dalla Fondazione Schlesinger, più le 6 inedite del 1990.
Le rimanenti 36 poesie, unitamente alle 30 di questo volume, saranno pubblicate dalla Mondadori nel 1996.
Annalisa Cima
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