Annalisa Cima
Quattro tempi (poesie e traduzioni)
Introduzione di:
Marisa Bulgheroni, Lea Ritter Snatini,
Cesare Segre
Traduzioni di:
Marianne Moore, Allen Mandelbaum, 
Jorge Guillén, Pierre Van Bever, 
Pamela W. Hadas, Hanno Helbling,
Lea Ritter Santini, Alexandre Eulalio 
e quattro tavole a colori di:
Alina Kalczynska
Fondazione Schlesinger,
Lugano, 1986

 

 

 

 

presentazione di Lea Ritter Santini

QUATTRO TEMPI

 

Tradurre Cherubino, le sue arie iridate e trasparenti, la sua immagine ingannevole e incostante come il desiderio; quando apparve la prima volta sulle scene viennesi l'accompagnava la lingua musicale, il carezzevole italiano del paese ancora suddito di Maria Teresa. Più tardi, tradotto in tedesco per l'esercizio di giovani cantanti, il suo primo antico turbamento d'amore: Non so più cosa son, cosa faccio & si trasformava nella nuova alternanza di aperture vocaliche, in un diverso smarrimento lontano dalla trepidante irrequetudine riflessa nelle nubi dell'io all'alba della scoperta erotica: Ich weiss nicht, wo ich bin, was ich tue "Non so più dove son" canta il Cherubino tedesco e affida a un mutamento di luogo il sentimento della sua estraneità interiore: il "cosa" è diventato il "dove", una trasposizione che potrebbe essere il simbolo del tradurre. Non è più la giovane coscienza a dubitare della sua identità, non più il soggetto a smarrirsi ma - diventato oggetto - a subire una modificazione che avviene fuori di lui. Le accese incertezze della persona si dissolvono in un più concreto naturale disorientamento, quello dello spazio esterno. È credersi in un luogo diverso a rendere Cherubino tedesco dolcemente sperduto e immemore, quasi tornasse a sé mutato, da uno sconosciuto mancamento, quello della lingua: se la perdita dell'infanzia è il suo vuoto, una nuova coscienza lo ricopre e ne trasforma - con le parole - il ricordo. Forse per questo nelle arie di Cherubino di Annalisa Cima ho scelto di tradurre soltanto la penultima, il numero 11: la ripetizione, non la somma dell'uno, l'uno allo specchio, la solitudine che si sdoppia nel presagio di una nuova dolorosa estraneità. L'aggettivo "alt" legato nella sua radice a "Alter", età, misura un tempo che appare immerso in una lontananza meno minacciosa di quella dell'invecchiare. Le avventure della poesia hanno trasformato la grazia androgina del paggio mozartiano nell'ambigua malizia di Octavian, l'innamorato cavaliere della rosa che Hugo von Hofmannsthal fa incontrare allo specchio con l'immagine femminile alle soglie del "male di finire", la sua "alter-ità". Il mio Cherubino tedesco è fermo in quell'attimo sospeso della storia in cui, per ascoltare l'invisibile trascorrere del tempo, di sdoppia e risponde con il suo "non ancora" nel canto di un mattino ritrovato. Hanno Helbling ha dato le sue parole a un altro Cherubino, il primo, al solare invito a perdersi oltre il timore e il bagliore; il "dove" della sua traduzione è il luogo in cui la metafora ricrea il suo spazio concreto (lo "iato" è ora "Rille", separazione di solidi), il suo gioco sillabico (come in ver-gehen rät/ er-geht) si fa guidare dalle catene foniche dei versi italiani, tenera eco al desiderio di risuonare nelle stesse strutture che riconosce proprie. Dei versi "Per altri", quelli a F.F. sono tradotti due volte: mentre Hanno Helbing sceglie per "acqua profonda" -Fluten una immagine di movimento, (flusso), in "tiefen Wasser" io ho voluto fissare quella della profondità immobile; la "moribonda presenza del tempo" ha conservato per me in "sterbende Gegenwart", nell'aggettivo "morente", la dimensione di un presente del tempo che l'idea del tempo distrugge ma può essere rinnovata dal ritorno di un altro, nuovo presente, mentre il "todgeweihte Dasein der Zeit" di Hanno Helbling traduce l'immagine di un destino esistenziale del tempo, quasi a opporre alla stagnante malinconia della caducità, la cosciente fatalità del mondo. Così la voce che si rivolge "A Lui", nell'avvio "Per persuadermi al tuo amore", ha modulato il tono di un futuro attivo conoscere: "Dass ich sie weiss Deine Liebe"; dell'accorato "vieni da me a sciogliere questo nodo d'angoscia", ha mitigato l'angoscia con una parola "Bangnis", il cui alone racchiude anche la lontana oscurità dell'attesa. Della fine "E lasciamo perle sul cammino/ dolci gocce dell'inganno" - la costruzione delle parole che si chiude in "Tropfen süsse Tropfen" non è semplice ripetizione ma volontà di sapere e conoscere, prima dell'ultimo sguardo sulla luce dell'inganno, il segno che resta di un amore.

Lea Ritter Snatini 

 

 

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