Annalisa Cima
Repliche mai pubblicate 
dal "Corriere della sera"
(polemica sul Diario Postumo) 

All'insegna del pesce d'oro 
di Vanni Scheiwiller
Milano 1999

 

PREMESSA

Nel 1986 la Fondazione Schlesinger diede inizio alla pubblicazione delle prime sei poesie inedite, secondo la volontà di Eugenio Montale.

Milano, 28-10-1972 Cara Annalisa pubblicherai, a quattro / o cinque anni dalla mia di-/ partita, le poesie che ti affido e affiderò / e non più di sei all'anno. Eugenio Montale 1972

Nel settembre dello stesso anno a nome dei Consiglieri e dei Soci della Fondazione Schlesinger, in veste di Presidente, spedii l'invito che segue:

Il primo ed inatteso colloquio telefonico l'ebbi con Giorgio Calcagno direttore di Tuttolibri (La Stampa, Torino), che venne a Lugano ad intervistarmi e poi scrisse un articolo spiritoso e al tempo stesso esaustivo che mi lesse al telefono, prima di pubblicarlo.
Dal "Corriere della Sera" telefonò Giulio Nascimbeni.
Mi stupii, perché avevo spedito l'invito a Gaspare Barbiellini Amidei, tre giorni prima che a Nascimbeni.
Avevo conosciuto Barbiellini Amidei in casa di Montale e sapevo che Montale lo nominava sempre con simpatia, per questa ragione lo avevo privilegiato inviandogli l'invito in anticipo. Ma, ciononostante, fu Nascimbeni a venire a Lugano per intervistarmi; disse di voler inserire l'intervista nell'articolo che avrebbe scritto durante la serata di presentazione, alla quale sarebbe intervenuto. 
L'articolo doveva uscire sabato 11 ottobre, dopo la serata di venerdí 10 ottobre.
Quando Nascimbeni venne, chiese subito di vedere i manoscritti originali, gli spiegai che manoscritti cosí preziosi, non potevano essere in casa. Il notaio aveva aperto solo la prima busta, e si potevano, quindi, vedere da lui le prime sei poesie, era sufficiente prendere un appuntamento. Poi m'intervistò facendomi una serie di domande banali.
Mercoledí 8 ottobre, alle 17, Nascimbeni telefonò per leggermi l'articolo che aveva scritto.
Ero esterrefatta. La presentazione non era ancora avvenuta e Nascimbeni ne parlava mettendo delle sue considerazioni in bocca agli intervenuti.
Il mio stupore aumentò quando udii che citava frasi di Gianfranco Contini, che si riferivano ad altre poesie di Montale pubblicate in volumi precedenti.
Infatti, proprio pochi giorni prima, avevo ricevuto una lettera di Gianfranco Contini che dava un giudizio positivo delle prime sei poesie di Diario postumo e alludeva alla seconda burla che Montale aveva preannunciata: "Non chiamarla opera omnia…, vi sono altre poesie,… come titolo proporrei: Opera in versi…, se sei d'accordo".
Solo allora mi resi conto di quanto infido fosse Nascimbeni e di come il suo interesse a fare uno "scoop", ad autopromuoversi fosse superiore alla tanto millantata amicizia con Montale.
Dissi a Nascimbeni che il suo articolo era spregevole in tutti i sensi e che non avrei lasciato pubblicare le poesie inedite di Montale in un contesto cosí fuorviante. 
Nascimbeni rispose a male parole e minacciandomi disse: "scriverò un articolo contro di te, te la farò pagare, mi vendicherò, ti distruggerò…".
La stessa sera verso le ventidue, squillò il telefono, era Gaspare Barbiellini Amidei che si scusava anche a nome del direttore Piero Ostellino e mi invitava ad incontrarci. Venne l'indomani in compagnia di Antonio Terzi, il vice direttore del "Corriere della Sera".
Chiesi a Barbiellini Amidei, perché non fosse venuto subito lui, mi rispose che non aveva ricevuto l'invito, capimmo allora entrambi che era stato cestinato.
Il giorno seguente, come convenuto, giunsero a Lugano Barbiellini Amidei e Terzi per rimediare, in qualche modo, all'azione sleale di Nascimbeni.
Barbiellini, per etica professionale, non poteva e non voleva scrivere il pezzo, dissero che preferivano pubblicare un mio articolo e che sarebbe venuto Cesare Medail ad assistere alla serata.
Il giorno seguente, 10 ottobre, sul "Corriere della Sera" uscí il mio breve intervento con quattro poesie di Montale, dal titolo "Ecco il Montale inedito".
Sabato 11 uscí il pezzo di Cesare Medail che aveva assistito alla serata e che fece un commento dettagliato di quanto era stato detto. Scrisse tra l'altro Medail: "…Segre ha rivelato che le sei poesie raccolte nella plaquette fuori commercio della Fondazione Schlesinger e stampate in cento copie a torchio dall'Officina Bodoni, non sono che "pochi gioielli del forziere" aperto da Annalisa Cima…".
Il primo novembre del 1986 Giovanni Raboni per poter intorbidare ulteriormente le acque e gettar altro fango su Montale, scrisse sull'"Europeo", un articolo vergognoso.
Alla lettura dell'articolo mi ricordai d'uno stralcio di conversazione con Montale che fa parte dell'intero corpo delle conversazioni ancora inedite.
Dice Montale a proposito di Raboni: 
"Se il sedicente poeta, che fa solo requisitorie, avesse capacità e talento quanto ne mostra nell'intrallazzo, sarebbe certamente un grande. …Ma, ahimè, il suo non è un work in progress, come vuol far credere, è in regress… Si illude d'avere il diritto di dare giudizi, ma è solo schiavo del desiderio di potere. Insomma, cosa si può pretendere da un tizio che fu ingaggiato dalla Mondadori perché iscritto al partito e alle partite… cosí mi disse Vittorio Sereni, in una sommessa confessione". 
Pubblichiamo qui di seguito alcuni stralci del'articolo di Raboni, del I novembre 1986, apparso su l'"Europeo" (settimanale del gruppo Rizzoli, al quale collaborava).
Nell'articolo dal titolo "Il poeta innamorato fa il verso dimezzato" scrive tra l'altro il Raboni: 

"…per il momento, dunque, la signora si è limitata a stampare sei poesie in una plaquette fuori commercio, tirata in sole cento copie destinate ai soci o membri di una fondazione svizzera. Questo, pare, non glielo può impedire nessuno; e la signora promette o minaccia di stampare una plaquette all'anno, ogni volta con sei poesie, in modo che per l'autunno del 1996 dovremmo disporre di tutti e sessantasei i "gioielli dello scrigno" come li ha definiti il critico Cesare Segre. In realtà, se la situazione non evolve, non disporremo invece di un bel nulla, cosí come, non essendo membri o soci della sopra accennata fondazione, non disponiamo ora della prima plaquette" […] "…i testi che ho letto sui giornali mi sembrano assai inattendibili, come se in sede di trascrizione (ma da che cosa? Da un autografo molto scarabocchiato o scolorito, da una fotocopia infelice, magari da una registrazione su nastro? Non si sa, visto che la detentrice degli inediti non dice niente e non fa vedere niente a nessuno". […] "Montale… evidentemente, di fronte alle premure di una giovane donna che andava a trovarlo quasi ogni giorno con un registratore nella borsetta, se n'era dimenticato".

 

Non risposi alle ingiuriose calunnie, lasciai passare cinque anni, e nel 1991, in prossimità della pubblicazione delle prime 30 poesie di Eugenio Montale 

 

risposi con un articolo sullo stesso settimanale: l' "Europeo" (25 gennaio 1991)

Nel quale tra l'altro scrivevo: 
Ora che "le prime trenta poesie stanno per esser pubblicate dalla Mondadori" debbo rispondere all'articolo apparso sull'Europeo all'epocaa dell'annuncio del lascito montaliano, che era mosso più da livore che da spirito critico e scritto da Giovanni Raboni, ormai noto per le sue manovre da basso impero e, soprattutto ultimamente, per scoop ai danni di personaggi famosi e possibilmente morti, perché non possono difendersi.
Montale vivente, non soltanto Raboni se ne guardò bene dall'attaccarlo, ma anzi ne imitò proprio lo stile di quell'ultimo periodo che va criticando; è infatti Raboni il più montaliano degli imitatori, anche se corrono anni luce tra la poesia di Montale e quella del suo epigono.
Ma il Raboni consapevole d'essere detestato da Montale sia come uomo, sia come poeta, per vendicarsi scrisse un articolo con grossolane menzogne che è appunto il pezzo di cui orresco referens (inorridisco nel riferire). L'articolo ruotava intorno a una macroscopica bugia: che le poesie dell'ultimo Montale erano state trascritte da fotocopie poco leggibili o da registrazioni su nastro.
Oggi il volume della Mondadori dal titolo Diario postumo darà modo ai lettori di constatare come le poesie di Montale non solo erano manoscritte, ma notificate e accompagnate da testamento.
In quell'articolo, inoltre, il Raboni faceva un ritratto di Montale molto discosto dalla personalità del Poeta; che tutti sanno essere stato uomo di grande dignità, di stile, sia nella vita, sia nello scrivere; cosí come di recente ha fatto notare anche Silvio Guarnieri nel suo libro L'ultimo testimone. Ma Guarnieri, scrive Raboni "montaliano o montalista", ama mettere in risalto quel "culto critico consacrato a Montale-poeta" che tanto infastidisce il Raboni. Quanto poi al "conformismo culturale del nostro tempo", di cui Raboni accusa gli altri critici, gli vorremmo ricordare che proprio lui ne è il vero vessillifero per dirla montalianamente.
Inoltre il critico Raboni non si meravigli delle spezzature che ci sono nelle ultime poesie di Montale, rilegga invece l'intera opera montaliana più attentamente e si accorgerà di tutti i giochi di cui Montale era maestro: trocaici, cesure, metri insoliti che Montale usa, oltre all'endecasillabo di rito.
È dunque ovvio che queste critiche a Montale sono state mosse da un individuo borioso che ha letto di fretta e con invidia i nuovi testi, e che inoltre non conosce a fondo Montale come poeta, cosí come ne travisa la figura d'uomo descrivendola. Ma ora cerchiamo di chiarirci le ragioni che possono aver indotto il Raboni a un articolo cosí insensato. Sarà forse perché notoriamente Montale amava chiamarlo Ruboni, storpiando il suo nome in modo comico; oppure Raboni si identifica con il burocrate a cui Montale indirizza una delle 66 poesie postume. Rileggiamola insieme.
Il titolo è: È solo un vizio 
Filiaci (pagliacci) travestiti da poeti burocrati arroganti / pedanti imbonitori / siete voi i vessilliferi: / portatori d'insegne sbiadite. / L'esser poeti non è un vanto. / È solo un vizio di natura. / Un peso che s'ingroppa / con paura.
Ebbene, se Raboni si scaglia contro Montale perché questa poesia lo ha colpito debbo dire che la poesia era veramente indirizzata a lui, e a quelli come lui, cosí mi disse Montale, e quindi ecco il bandolo della matassa.
Ma oerché Raboni non si difende con argomenti attendibili invece che con fanfaluche e maldicenze. Perché non risponde con una poesia a una poesia, o invece ha voluto cosí riconfermare il ritratto che Montale fa di lui, autodistruggendo quel barlume di credibilità che per altro il Raboni aveva già offuscato da tempo.
Quanto all'infame invenzione a proposito di una relazione di Montale 75enne con una giovane poetessa di 27 anni, è tanto più comica in quanto Montale è noto per essere stato molto restio anche da giovane a vicende sentimentali; infatti, a detta di Montale stesso, le donne non gli interessavano che come ispiratrici, e amava spesso autodefinirsi asettico. Con me, in particolare, s'era cementata un'intesa che spesso si crea anche tra poeti di diversa età, purché si stimino a vicenda. In quegli anni infatti uscirono ben due miei libri con prefazione di Cesare Segre, editi, uno da Scheiwiller, l'altro da Guanda; forse Raboni, che all'epoca era direttore di Guanda, se la rabbia non ha corroso in lui la memoria, dovrebbe ricordare. 
Comunque debbo concludere che effettivamente gli onori portano con sé dei fastidi e dei pesi; e avere avuto in dono da Montale queste poesie certo è stato, ed è, un grande onore; anche perché a differenza di Raboni vi appaio descritta da Montale in luce positiva.
Trascriverò qui, quale esempio, e perché i lettori la possano confrontare con la precedente dedicata a Raboni, una delle poesie che Montale mi dedica, dal titolo Ma c'è chi. 
Potius mori quam foedari (piuttosto morire che contaminarsi) / è l'illibato senso / del vivere che trasmetti / in messaggi cifrati. / Ma c'è chi non capisce / e preferisce il mondo / così com'è: immerso in un pattume.

Nel 1992, tra le sei poesie di Montale, ve n'era una dedicata a Giovanni Spadolini. Uscí un articolo, come sempre sintetico ed acuto, di Paolo Mauri su "la Repubblica", dal titolo "Eugenio Montale vota Spadolini".
Fece seguito l'articolo fazioso sul "Corriere della Sera" dal titolo "Ma nel 1970 Spadolini non era in Parlamento".
In effetti si può constatare, leggendo l'apparato di Rosanna Bettarini, che la vera data della poesia è 1976. Scrive infatti Rosanna Bettarini: "esistono due stesure manoscritte datate 1976".
In seguito l'inimicizia del "Corriere della Sera" , nei miei confronti, si era momentaneamente placata, non scrivevano più né pro, né contro. Ma quando Giovanni Raboni dall'"Europeo" passò al "Corriere della Sera" , dove oggi è il capo carismatico della pagina "Cultura e spettacoli", le ostilità ripresero. Dopo la pubblicazione del Diario postumo nel febbraio del 1996, edito da Mondadori, che raccoglieva le 84 poesie lasciate da Eugenio Montale, iniziarono le avvisaglie di ostilità da parte di una "numerata compagnia" che collaborava con la Mondadori (Isella, Raboni) e con il "Corriere". Il sodalizio portò alla vergognosa campagna denigratoria iniziata un anno dopo la pubblicazione di Diario postumo, 66 poesie e altre.

 

Il 10 ottobre 1996 ricevetti questo invito dalla Mondadori, nel quale si noterà è scritto "opera omnia del poeta".

 

Ed allora inviai due lettere: una al direttore della Mondadori e l'altra a Dante Isella. Riproduciamo, qui, quella scritta a Dante Isella

 

Nel mese di dicembre del 1996 pubblicammo il consueto Annuario della Fondazione Schlesinger, impresso dalla Stamperia Valdonega di Verona di Martino Mardersteig, in quattrocento copie, di cui le prime cento numerate da 1 a 100.

 

L'Annuario conteneva: le prime tredici lettere-legato, aperte nel 1985 e già depositate nel contratto del 1988 tra Mondadori e la sottoscritta, controfirmato da Bianca Montale e le undici lettere-legato aperte nel 1996. 
Nella primavera del 1997 uscirono tre articoli significativi: i primi due di Vico Faggi ed uno di Vanni Scheiwiller.
Il 4 aprile del 1997 sul "Corriere del Ticino" uscí l'articolo di Vico Faggi dal titolo "All'angelo Annalisa".

"Cara Annalisa, - pubblicherai le poesie che ti dono e donerò, quattro o cinque anni dopo la mia morte, inizialmente sei ogni anno, riunendole poi in un solo libro, al quale apporrai un titolo di tuo gradimento ed una prefazione (nella tua limpida prosa poetica).- Curerai quest'opera anche nelle successive edizioni e i relativi diritti saranno tuoi. Le note filologiche le affiderai a Contini o ad altri in grado d'assolvere questo compito. Ricorda che di queste poesie sei l'ispiratrice e l'interlocutrice: epifania che congloba le precedenti apparizioni e proprio per questo hai doppiamente l'obbligo di non sottrarti in alcun modo all'incarico, pur gravoso, di rispettare le mie volontà. Perdona l'intonazione di comando e non volermene, ma più volte hai tentato di sottrarti all'impegno.- Scritto, in piena facoltà, da Eugenio Montale e affidato, perché sia osservato, ad Annalisa Cima, in ricordo dell'amico - Eugenio Montale".
Essenzialmente, qui, ci sembra la definizione di "ispiratrice" e "interlocutrice", e più ancora il riferimento ad una "epifania che congloba le precedenti apparizioni": il che non potrà essere ignorato da biografi e critici di Montale in ordine alla ricostruzione e valutazione delle figure femminili che nella sua opera vengono evocate. Non a caso, nel Diario postumo ( Mondadori), tanto rilievo hanno, tanta forza di suggestione possiedono le apparizioni (epifanie) della giovane donna : voce di salvazione, aerea figura, smarrito adolescente, circonfusa di aureola, pronta a spiccare il volo…
Tutti gli scritti qui considerati (con l'eccezione di uno, brevissimo, del marzo 1972) sono stati redatti nel mese di ottobre. È il mese in cui il poeta venne alla luce, precisamente il giorno 12.
La scelta del mese non può ritenersi casuale. L'insistenza è troppo significativa. Nel disporre per il tempo dopo la sua morte, Montale sceglie di partire dal mese della sua nascita. È un modo per lanciare un ponte che abbracci tutta un'esistenza. È un modo, anche, di sottolineare quanto importante fosse, nella coscienza del poeta, la decisione che andava maturando, scaturente dalla convinzione profonda della sua equità e necessità. Si trattava di salvaguardare l'integrità dell'opera poetica, affidandone la cura alla persona ritenuta, per intelligenza e carattere, per capacità e probità,più idonea ad assolvere quel compito. Montale sa che la sua sopravvivenza nel tempo futuro è legata alla voce della sua poesia; e dunque questa poesia dev'essere messa al riparo dal capriccio o dalla burocratica indifferenza di un'anonima macchina editoriale.

"Il secolo XIX" del 6 aprile 1997 pubblicò un articolo di Vico Faggi dal titolo "Testamento Montale".

Siamo all'origine di una serie di atti, tutti autografi, che Montale andò redigendo in quegli anni, via via allargando la sfera della loro portata sino a parlare di eredità. E qui si pone il quesito: Montale fece tale scelta? Perché si rivolse alla giovane poetessa milanese? Una prima, ma già appagante, risposta ci è offerta da un volumetto uscito, vivente il poeta, il 9 aprile 1973, nelle edizioni di Vanni Scheiwiller. Titolo: "Incontro Montale"; autrice: Annalisa Cima; contenuto: una serie di dialoghi intercorsi tra l'anziano poeta ed Annalisa su temi impegnativi di estetica, filosofia, sociologia.
Se Montale accettò il dialogo, e la pubblicazione del dialogo, è perché sapeva che dell'interlocutrice poteva fidarsi sotto ogni punto di vista. Montale conosceva da alcuni anni la Cima, ne conosceva l'attività culturale e il carattere.
Le ragioni della scelta montaliana sono ulteriormente evidenziate dal corpus di poesie che formano il "Diario postumo", dove il poeta riferendosi alla Cima mostra quanto tenace fosse la sua amicizia, quanto profonde fossero la sua fiducia e la sua stima. 
L'opera poetica come viatico per la vittoria sul tempo, come passaporto per l'immortalità: da qui siamo partiti e non ci resta che verificare la fondatezza della nostra ipotesi. E lo faremo attraverso la lettura degli atti (legati, prelegati, testamenti) che l'Annuario raccoglie e presenta. Dominante, negli stessi, è il campo semantico che attiene al verbo "affidare". Montale voleva affidare la sua poesia a chi, conoscendone il valore e amandola, fosse in grado di custodirla e difenderla.
Connesso è il campo semantico di "cura" e "tutela", che viene ribadito ancora nell'ultimo degli atti, datato 10 ottobre 1980: "Desidero inoltre che Annalisa Cima sia la curatrice di tutta la mia opera sia in versi sia in prosa". E già in precedenza l'incarico era stato dato in termini pressanti e vincolanti. Sapeva bene, Montale, che non sarebbe stata una sinecura.
Che significa, in sostanza, l'essere curatore di un lascito letterario? Si comincia, rispondiamo, con il controllo della correttezza filologica delle nuove edizioni e, prima ancora, con la scelta dell'editore e, se del caso, del prefatore. Si tratta anche di individuare l'epoca più opportuna per l'uscita di un'opera. E non può essere trascurato il compito di promuovere le traduzioni; e qui la competenza del curatore è decisiva. Un buon traduttore difende ed esalta una poesia, un cattivo traduttore l'affonda o immiserisce. Montale sapeva di poter contare sulle conoscenze che Annalisa Cima ha nel mondo letterario americano.
Troviamo ancora, negli atti montaliani raccolti nell'"Annuario", la menzione, più volte ripetuta, di certe "conversazioni". Di che cosa si tratta? Sono registrazioni da dialoghi intercorsi tra i due, di libere conversazioni su problemi (e persone) in materia estetica e filosofica e letteraria. Anche di queste conversazioni la cura è affidata alla Cima. Naturalmente viva è la curiosità degli specialisti per le "sentenze" di Montale che era, notoriamente, giudice ironico e severo sino, in certi casi, alla ferocia.

Uscí poi il 13 aprile 1997 su "Il Sole-24 Ore" l'articolo di Vanni Scheiwiller dal titolo "Montale, una burla riuscita".

Per il centenario nel '96, sempre a cura della Cima, e sempre da Mondadori, uscí Diario postumo, 66 poesie e altre, con apparato critico e analisi dei manoscritti sempre della benemerita Bettarini e prefazione di Angelo Marchese. Oggi la Fondazione Schlesinger ha voluto ricordare Montale pubblicando nel suo Annuario 1996 le Lettere-Legato (1972-1980): sia quelle già allegate al contratto del 1988 stipulato tra Mondadori e la Cima e controfirmato da Bianca Montale, sia quelle aperte soltanto nel settembre del '96 per espressa volontà di Montale.
Onore-onere, senza dubbio, la Cima infatti è infatti stata fatta oggetto spesso di una vera e propria campagna denigratoria cominciata nell'86 con la pubblicazione delle prime sei poesie (stampate poi annualmente in sole cento copie, in modo superbo, con il torchio dell'Officina Bodoni a Verona dall'86 al '96). Si finse perfino di dubitare che le poesie e le lettere d'accompagnamento fossero di Montale, almeno fino alla pubblicazione della prima parte delle poesie uscite nel '91), con l'avallo di Bianca Montale.
Oggi si possono leggere tutti questi testi nella calligrafia "ragniforme" tipica di Montale. Le Lettere-Legato sono in tutto ventidue con due lettere di premessa del 1972. Sono lettere concise, categoriche, che indicano Annalisa Cima come erede designata.
Nella cronologia, c'è un ordinamento interno meticoloso: "aprirai dopo quattro anni dalla mia morte, la lettera…", e la lettera o busta conteneva il dono: l'affidamento delle poesie e dei testi in prosa, e via via fino a fare della Cima "l'unica curatrice di tutta l'opera in versi e in prosa".
Montale non contento, per tutelare la sua pupilla, la nomina erede universale e tale designazione è ripetuta più volte: una sorpresa, forse, per i più, una bomba per tanti letteratini invidiosi ("Deponete la vostra invidia…") ma non per me, sia come amico di Montale che della Cima (un'amicizia sí anche burrascosa ma che si è rinforzata e rinnovata in trent'anni).
Conoscendo il caratterino non facile di Annalisa so benissimo che ha accettato il dono-fardello come si fa con un adorato nonno che chiede aiuto: "Parlerai di me con lo stesso / fervore che t'accende quando / ricordi il nonno scomparso…". Ed è da questo bellissimo legame d'amicizia e d'affetto filiale, in un certo senso provocato da me, che li feci incontrare nel '68, che è nato "l'ottavo e ultimo libro dell'opera in versi di Eugenio Montale", inspiegabilmente escluso dal suo stesso editore che l'ha pubblicato nel '96, Diario postumo, dalle cosiddette Poesie complete. Le Lettere-Legato dell'Annuario riservano altre sorprese: traduzioni, disegni, conversazioni, che se la Cima vorrà potrà pubblicare scadenzate negli anni.
Una burla riuscita (1928) si intitola la novella di Italo Svevo amatissimo da Montale: una burla riuscita è quella che Montale ha riservato ad amici e nemici, parenti e non: "Non so se un testamento in bilico / tra prosa e poesia vincerà il niente / di ciò che sopravvive: […] Ed ora che s'approssima la fine getto / la mia bottiglia che forse darà luogo / a un vero parapiglia…".
Se paradisi esistono, quante risate di Montale da lassù…".

Nei tre mesi seguenti la famiglia Montale inviò raffiche di veleno in brevi comunicati stampa.
Poi, verso fine luglio 1997, iniziò la campagna diffamatoria condotta da Isella.

REPLICHE MAI PUBBLICATE
DAL "CORRIERE DELLA SERA"


Replica all'articolo di Dante Isella del 20 luglio 1997,
inviata al "Corriere della Sera"

Nel leggere l'articolo di Dante Isella, pubblicato il 20 luglio sul "Corriere della Sera", si nota che usa la parola "apocrifo" giocando sul doppio significato di occultare o falsificare, per poter mascherare l'implicita diffamazione. 
I manoscritti delle poesie di Montale, non solo non sono stati mai occultati, ma esiste anche un'ampia descrizione fatta da Rosanna Bettarini nell'apparato critico dei volumi usciti da Mondadori, nel 1991 e nel 1996.
Nell'apparato critico, infatti, Rosanna Bettarini descrive minutamente i manoscritti: con date, correzioni, materiali impiegati e grafia.
Isella, del resto, non aveva mai chiesto di vedere i manoscritti, pensavo che non gli interessassero o che avesse letto l'apparato di una nota filologa che tra l'altro con Gianfranco Contini aveva curato "L'opera in versi" di Montale nel 1980.
Gli stessi versi che Isella usa, parlando di "centoni" di Montale, sono stati menzionati da noti italianisti, prima di lui, proprio per dimostrare in senso positivo, quanto fossero evidenti i "repêchages" montaliani: Vico Faggi, sulla rivista "Resine", Vincenzo Di Benedetto sulla "Rivista di Letteratura Italiana", Emerico Giachery e Giuliano Manacorda durante la presentazione alla Treccani, e Angelo Marchese nella prefazione al Diario postumo.
A proposito invece del mio primo libretto scritto per Montale, Isella incorre in un terzo errore, infatti lo scritto non è in versi, ma è una breve prosa.
E quando dice "Suoi, a dire il vero, sono soltanto i versi che introducono…" non è documentato, perché tutta la collana era cosí concepita da Scheiwiller: un breve scritto sull'autore, un inedito dell'autore stesso e dodici fotografie (Eugenio Montale, via Bigli, Milano, Collana occhio magico, Scheiwiller 1968).
Subito dopo Isella sostiene che di Incontro Montale, che raccoglieva due conversazioni tra me e il poeta, Montale non sapeva nulla.
Quanto, invece, fosse partecipe Montale, nel volumetto Incontro Montale del 1973, lo può dire l'editore Vanni Scheiwiller che vide le schede scritte dal poeta e lo testimonierà una delle lettere di Gianfranco Contini che pubblicheremo.
Proprio per quel librino Montale scrisse, infatti, insieme a me, una lettera a Contini.
Quindi, per concludere, se Isella avesse avuto pazienza avrebbe potuto veder pubblicati i manoscritti delle poesie, come presto vedrà; se avesse avuto fretta, poteva chiedermi di vederli e non me lo ha mai chiesto; eppure ci siamo sentiti più volte prima che uscisse il Diario postumo, 66 poesie e altre nel 1996, ed egli si dichiarò pronto per fare la prefazione e curare l'apparato del volume. 
Cosa è dunque successo? Isella che lavorava come consulente alla Mondadori diede il placet al Diario postumo insieme al direttore dello "Specchio". Perché allora non fece eccezioni? Solo aggi a distanza di un anno dopo l'uscita del Diario postumo con l'apparato di Rosanna Bettarini e prefazione di Angelo Marchese nascono in lui tutti questi dubbi?
Forse perché non gli affidai la prefazione di Diario postumo? 
O forse, nel 1997 Isella s'è risvegliato quando gli scrissi che non poteva e non doveva parlare di "Opera omnia".
Quanto alle autentiche notarili, Isella prende un ennesimo abbaglio, infatti furono autenticate sia le lettere-legato che le poesie, non per convalidare la scrittura di Montale, perché non ce n'era bisogno, data la presenza dei notai, ma perché poesie e lettere-legato potessero far parte di un fondo di pertinenza straniera.


Replica, all'articolo di Dante Isella del 27n luglio 1997,
inviata al "Corriere della Sera"

Caro Isella, 
nessun serio grafologo, (e quello da te interpellato, Armando Petrucci, non è un grafologo, ma un paleografo), accetterebbe di fare una perizia su "fotocopie".
Le perizie, come tu sai, vengono effettuate sugli originali. Comunque, in questo caso, qualsiasi perizia sarebbe stata superflua, dato che la firma del testatore è stata convalidata con timbro e firma notarile.
Gia, nel 1986, Giovanni Raboni aveva scritto parte delle calunnie che Isella oggi scrive.
Figuriamoci quindi se, nel 1986, la Mondadori in vista del contratto che venne poi stipulato nel 1988, non fece i controlli; anche più del necessario, dato che Raboni era consulente alla Mondadori.
Gli stessi accertamenti che la casa editrice Mondadori aveva riservato alle 13 lettere-legato, depositate all'atto del contratto e riconosciute da Bianca Montale, nelle quali Montale mi nominava curatrice, delle poesie di Diario postumo, e dell'opera omnia, furono riservati alle poesie contenute nelle undici buste che venivano aperte di anno in anno dal notaio.
Qualunque persona potrà capire che lavorando sia Raboni che Isella alla Mondadori, per ragioni diverse, ma finalità consimili, intendevano liberarsi dalla curatrice designata da Montale. 
Raboni, morto Montale, lo ricambiò dell'antipatia che Montale gli aveva riservato da vivo.
Isella, volendo curare l'opera omnia, doveva escludere l'apparato critico di Rosanna Bettarini e Gianfranco Contini.
E quindi avevano, sia Raboni che Isella, buoni motivi per voler sferrare un attacco, approfittando del loro potere nella casa editrice e nei giornali.
Potere che non hanno esitato ad usare contro l'unico baluardo delle volontà di Montale, la sottoscritta.

***

Dopo le due repliche del 20 luglio e del 27 che il "Corriere della Sera" non aveva pubblicate, su consiglio dell'avvocato Giuseppe Calabi, scrissi la lettera che segue al direttore del "Corriere della Sera" con allegato l'articolo del professore Oreste Macrí.

 

UN AUTOCENTENARIO

Giulio Ferroni in una pagina del "Corriere della Sera" del 13-8-1997 so è intrattenuto sulla "Fabbrica dei Postumi", allegando l'esempio del Diario postumo di Montale, ma dimenticandosi di tale caso specifico e, se non raro, unico di "postumo", tale voluto e fabbricato, ovvero d'autore. Annalisa Cima, curatrice del volumetto, introdotto da Angelo Marchese, con testo e apparato critico di Rosanna Bettarini, racconta l'ordito cronistorico, diciamo, perpetrato in assoluta coscienza retrospettiva di autore premorto che si rivive. Corre per anni 11 dal '69 al '79. Il poeta divise le poesie di 11 anni in 11 buste, chiuse nel '79; serrate le 10 buste di 6 numerate da I a X, più un plico XI con la busta di altre 6, più un pacchetto di 18 in altre buste virtuali di 6, "che avrebbe potuto valere come dilatata sequenza di chiusura moltiplicando per tre il sei di base", ecc. Solo 24 componimenti sono del tutto inediti. Il poeta morí il 12-9-1981, sí che si crogiolò la memoria delle "66 poesie e altre" (ossia 84) per almeno 13 anni dentro il circolo vivente di se stesso, dell'amica e amici. Non ho letto il libro di Grafton, ma non credo che sia il caso di un falsario, come ha opinato Dante Isella, se non sia lo stesso Montale; si è approssimato al vero Andrea Zanzotto circa un apocrifo d'autore, ma la destinata pubblicazione post mortem di lui poeta mi induce, come ho accennato, a un caso di autocentenario. Rammento che Gabriele D'Annunzio fanciulletto propagò la notizia della propria morte, sí che, con dolore del povero padre, si gustò qualche desolata notizia di critici, che già avevano puntato sulla sua precoce bravura.
Ma, caro Isella, chi se non lo stesso Montale poteva e sapeva riciclare vecchi e recenti arnesi delle sue masserizie poetiche, astratti e concreti, personalissimi e generici, massimi e minimi, a volo e meditati? Il girasole e il cormorano, la canicola, l'anima viva, l'angoscia e l'insonnia ("Un'angoscia limbale sempre incerta"; "l'insonnia fu il mio male e fu il mio bene", servendomi anch'io delle concordanze di Giuseppe Savoca), la petroliera ("rara traluce…"), il tempo inesorabile, le aligere faville (da l'"aligero folletto"), gli ultimi barbagli / del più velato sole cittadino (capovolti da "barbagli dell'aurora"), la desolata realtà della vita, che è sempre stata amara (diluita da "la tua vita aperta, amara"); la mirabile lirica Nell'orizzonte incerto d'una porta si chiude montalianamente riscattando d'improvviso ogni sua desolazione: "mentre ogni cosa / sembra incarbonirsi, quest'anime confuse / sentono ancora un'anima gemella" (da "incarbonirsi, bronco seppellito", "come l'anima lascia il corpo confuso e lacero", "l'iride breve, gemella"), dove ci commuove il richiamo di Clizia. Il musico Montale non perde il vizio. Io già esaminai "L'anima che dispenda" col motivetto "do re la sol sol"; ebbene, nella lirica Die Fledermaus, che è il pipistrello, trovasi consimile motivetto: "Oggi siamo ambedue adolescenti / faremo un nouveau jeu: / canterò un brano che dovrai indovinare: / Fa re mi mi sol"; trovasi detto pipistrello in ben cinque occorrenze. Strane formazioni sono l'impronta tipica montaliana come futurizione. Ma chi si poteva divertire a sfottere il poeta con omoteleuto in -one: "cognizione; previsione; eccezione; biforcazione"? (Mortali). Voglio terminare questa minima scelta con l'aggettivo muto, che ricorre 25 volte nell'opera, culminando la sua semantica compressa, definitiva, totale nella chiusura della Ballata scritta in una clinica, dove giaceva la moglie inferma: "e poi l'ululo // del cane di legno è il mio, muto". Parimenti la poesia Il tuo pallore si chiude con l'addio della donna inferma: "poi d'un tratto salutasti, / breve, e scivolasti via / lasciandomi col mio dolore, muto" ("mi salutasti - per entrar nel buio").
È certo che la critica è rimasta sorpresa, impreparata, smarrita dell'avvento inopinato d'una nuova inedita donna nel gineceo montaliano. Delle anteriori dall'Arletta alla Mosca resta sola essa Mosca con la Gina all'inizio, 1971, quasi lapide garante d'un'autenticità valida per tutto e per sempre d'un "amore" fattosi paterno:

Se la mosca ti avesse vista / anche una sola volta / quanto amore ti avrebbe / 
accordato. Non è facile / per me dare se non / per interposta persona, / cosa 
direbbe la Gina / se decidessi d'essere / padre all'improvviso.

Un altro caso di poetessa ispiratrice è solo apparente; alludo alla Volpe dei Madrigali privati nella Bufera, al secolo Maria Luisa Spaziani, ma caratterizzata solo come donna sensuale e terrestre, predace e dalla fronte incandescente, razionale e naturale, nulla di Beatrice e di poesia. 
Com'è lampante, l'archetipo delle varie Clizie è del tutto esautito, nulla di materno o incestuoso, insomma diretto alla nuova donna ("se non / per interposta persona"). Nella poesia seguente la trentenne è "Anima viva" che lo ravviva, anzi è "musa", anzi s'inverte, essendo lei "il cantore" e lui la "musa", ponendosi al contempo "maestro" e ispiratore. Nell'Opera in versi talora confonde le varie donne oppure ne moltiplica a ciascuna gli epiteti (Clizia, Iride, Cristofora, ecc.). La nuova donna è sola e unica, assoluta: "Non hai un cliché: / emergi singolare", oltre l'umano: "È il segno che travalica gli umani". Non ha nome in Ricordo: "Lei sola percepiva i suoni / dei miei silenzi. […] Ed è questa la parte di me che ritrovo / mutata: il sentimento, per sé informe, / in quest'oggi che è solo di rimpianto". Un passato essenzializzato e inerte. Parimenti l'Incontro si risolve nel riconoscere in lei la stessa malattia, sfumatissimo "segno", "che può dar senso al tutto". Sul Secondo testamento (Piccolo testamento nella Bufera) "nell'aldilà mi voglio divertire"; "rinvivire" nella memoria dei sopravvissuti. La chiama "Emily / della lombarda alta borghesia", la sente dolorante e inferma, epperò intima a se stesso, temendo che "pochi ti riconosceranno" (verbo molto montaliano); e cosí in aura musicale la caratterizza: "l'ansia che scivola sui tasti / e spande intorno un'ombra di dolore / vale più di un ritratto". Sulla sua singolarità leggo in Il caffetano bianco: "tu bastavi / a te stessa". "Un semplice bagliore" nella seguente. L'abbiamo notata come "musa"; e ivi: "Porterai con te l'ultima ventata / di poesia"; "figlia della luce" in "Un alone che non vedi". Abbiamo avvertito l'"anima gemella"; ivi stesso inferma è fornita di "tre talismani: / penna, musica e colori", incoraggiata a proseguire come lui stesso si è fatto animo. Nella seguente la rende immune dall'"invidioso riso" e la rincorona "fra l'Arti e le Muse". Donna e poesia si identificano: "Spira in lei la stessa armonia / che è nei suoi versi". Ancora "brume di dolore" nei suoi occhi.
È certo che la sortita del Diario postumo non è stata accolta da grande entusiasmo, anzi poco o nullo, fino all'estremo della non sopportazione, rappresentata dalla detta stroncatura di Dante Isella, che ha caratterizzato il libro di inautentico pasticcio editoriale, imputati la curatrice e la filologa. L'accusa è consistita in richiami molteplici a testi noti anteriori, epperò resi inerti e falsificati. Il nostro breve esame porta a un risultato contrario, lo stesso se l'analisi di Isella raddrizzata tornerebbe a vantaggio dell'autenticità di tutto il Diario postumo. Ci si domanda: per quale motivo Isella , pur invitato, non è andato a Lugano a prendere visione delle carte originali? La verità fa paura?
Il motivo profondo, insuperato e insuperabile, sono certo trovarsi nel cambio mentale, sentimentale e diciamo viscerale di Montale, dopo ben sette libri, della sua tradizione interna dantesco-petrarchesca della donna intermediaria e salvatrice, solo e essenzialmente beatifica come allude lo stesso nome di Beatrice. Nessuna delle numerose donne montaliane è connessa direttamente con la poesia, inerente e sostanziale, invece, alla Musa curatrice del Diario postumo. Insomma una Beatrice poetessa e quindi totalizzata all'altezza poetica del vegliardo, come abbiamo visto e citato. Si aggiunga che è ritratta inferma e addolorata. Tralasciamo alcune conseguenze esterne, come cambio testamentario, querele, complicazioni editoriali, ecc., fino alla beffa, come di un supposto crimine allegramente perpetrato; il Secondo testamento si chiude: "nell'aldilà mi voglio divertire" con questo che abbiamo nomato autocentenario. Sono certo che tale 'divertimento' sarebbe consistito nella supposta inverosimiglianza di un tale Diario postumo e che sarebbe stato processato di inverosimiglianza apocrifa. Dobbiamo deludere l'Ombra del poeta. La crisi d'identità, caratteristica storiografica del Novecento, risale alle origini dell'opera montaliana, fino al cambio dei nomi. Coniato sul proprio Eugenio, credo che Bobi Bazlen glielo cambiò in Eusebio, ossia "vir Deum bene volens". Arsenio è una poesia del '27 in Ossi di seppia, nome raro che significa "virilis, robustus" dal greco, ma simbolicamente pregnante di qualche omofono di ardere, arso, secondo la simbolica di esso primo libro di ricostruzione dal nulla, il principio ab ovo (osso di seppia, rottame primo titolo, stasi concentratissima: "immoto andare, oh troppo noto / delirio, Arsenio, d'immobilità […] e se un gesto ti sfiora, una parola / ti cade accanto, quello è forse, Arsenio […] il cenno d'una / vita strozzata per te storta, e il vento / la porta con la cenere degli astri"). Ben noti a Montale e ammirati i due grandi p oeti, creatori non di poesie, o meglio di poeti apocrifi con le loro poesie: lo spagnolo Antonio Machado, di cui recensí il mio volume, e il portoghese Fernando Pessoa, di cui lodò la versione panaresiana. Dei due Montale sapeva bene che l'apocrifo insidiava la verità storica, ossia come doveva idealmente avvenire, e qualificava falsa la storia reale. Entrambi svolgevano le intenzioni lirico-psicologiche di Pirandello e Unamumo circa la disintegrazione della personalità e sua ideale ricostruzione dal nulla nicciano.
Ispiratrice poetessa, figlia a lui consustanziale appare la donna glorificata nel Diario postumo, la quale riceve il nome della poetessa Saffo, di leopardiana memoria.
L'acme di tale creatura salvifica a mezzo della di lei poesia è raggiunta dalla bellissima, del miglior Montale, lirica di pagina 63, che desidero trascrivere intera:
Sorta dall'isola che generò colombe
bianco vestita giungi e ti porgo una fronda
a forma di ghirlanda.
Oh natura divina, animatrice di parole, 
hai salvato l'anima mia dal naufragio
coi tuoi versi che sull'ali occulte
veleggeranno immortali, né premio
più bello poteva darmi la sorte.
Al domani chiederò un altro incontro
e un altro ancora, perché qui
di fronte, io vecchio vate e tu
giovane Saffo, siamo un oggi
non incenerito, né vuoto;
brilla nell'aria lo sfumato colore del prodigio.

A parte qualche singolo vocabolo, come "isola, parole, sorte, prodigio, immortale", il dettato è del tutto originale, culminante l'invocazione alla "natura divina", del Montale che si svela intero con l'"anima mia", salvata dal "naufragio".
La potenza taumaturgica di tale nuova e inedita Beatrice s'avverte sulla conversione religiosa in lui operata quasi repentinamente, contro l'annosa e laboriosa vicenda di meditazioni anteriori: precristiana, ebreo-cristiana, gnostica, stoica, sul filo ininterrotto d'una poetica eterodossia. Invece, nella poesia Il clou la donna esprime il suo semplice metamorfismo d'anima e natura: "Ratio ultima rerum… id est deus. / E fu cosí che il tuo parlare / timoroso e ardente, mi rese / in breve da ateo credente".
Testimoni di qust'ultimo amore montaliano sono presenti in queste poesie: Cesare Segre ("due amici […] in veste di ministri consiglieri", e il Poeta), Adelaide Bellingardi, Andrea Zanzotto ("il Serenissimo"), Marianne Moore e Djuna Barnes, Luciano Rebay ( "Il gentleman / che scrive poco"), Sergio Solmi ("Il nostro falansterio […] il Sommo sarà ammesso"), Giovanni Spadolini, Claudio Magris ("Il saggista prediletto"), Vittorio Sereni ("Venne da me tutt'altro che sereno"), ancora Cesare Segre ("Il filologo"), Marco Forti ("Amico Editor"), Jean Starobinski ("Il ginevrino"), Armanda Guiducci ("L'amica napoletana"), Angelo Marchese ("Il giovane critico genovese"), Gaspare Barbiellini Amidei ("Il giornalista e il brillante scrittore…"), il Faggi, la Bulgheroni. Più volte il detto Segre aveva discorso sulla poesia della Cima.
Insomma si era formata una societas letteraria, che Montale chiama "falansterio", toto caelo diversa dall'unica Laura o Beatrice congiunte col solo e unico Poeta da redimere ("di servo tratto a libertate"). Si vuol insistere che tanti amici, collocati in determinati hic et nunc, ossia occasioni della vicenda mortale narrata nel Diario postumo, costituivano una fitta rete di notizie e confidenze circa l'entità e il significato del libro, quasi corresponsabili e depositari di quell'amore finale, animico e incorporeo. Tutti inventati, ingannati, manomessi? Almeno i vivi si facciano tali.
Giorgio Zampa, il nuovo curatore di Tutte le poesie, 1984, che nella Mondadori, alterando il titolo, ha rimpiazzato L'opera in versi, curata da Rosanna Bettarini e Gianfranco Contini, Einaudi, Milano 1980, in un articolo del "Sole - 24 ore" del 24-8-1997, p. 24, dichiara : "La […] Bettarini ha avallato l'autenticità [del] Diario postumo"; dall'accento polemico deduciamo che sia stato detto a demerito, e che in una nuova edizione di Tutte le poesie non sia ammesso il Diario postumo o sì, ma tacciato di inautentico.
Sono certo, invece, che Giuseppe Savoca in una sua riedizione della Concordanza di tutte le poesie di Eugenio Montale, Olschki, Firenze 1987, introdurrà tutto il Diario postumo. 
Testimone oculare e auricolare dell'esistenza delle carte del Diario postumo Maria Corti in un articolo della "Repubblica" del 4-9-1997. Subito Dante Isella nel "Corriere della Sera", due giorni dopo, ha obiettato che "i ricordi non contano" e che occorre "una giuria di esperti".
Ma l'esperto maggiore è il critico linguistico, che nel contempo accetta la veridicità complessa e unanime della testimonianza. Esperti sono anche i filologi, e tale è la Corti quanto la Bettarini. Altrimenti non resta se non il dito nel costato.
La verità vera è quella che ho accennato: ha dato fastidio, atroce e irrimediabile, una Beatrice o Clizia umana e terrena, tangibile, addirittura poetessa quanto le miriadi di poeti sortiti su questa terra, donna timbrata e qualificata dal Poeta Montale quale guerriero, imperatrice, Saffo! Consustanziale del poeta. L'umanizzazione completa della donna intermediaria beatifica accentuava l'eterodossia; rammentiamo che Dante alla fine del discorso paradisiaco sostituisce quale guida Bernardo di Chiaravalle a Beatrice. Dante aveva cominciato col vocabolo "cammino", che ritorna alla fine compiuto: "E 'l santo sene: - Acciò che tu assommi / perfettamente - disse - il tuo cammino, / […] / vola con li occhi per questo giardino". Nell'Opera di Montale troviamo "cammino" 13 volte. Centrale: "Prega per me / allora ch'io discenda altro cammino / che una via di città" (OS, Incontro). Richiesta che ritroviamo nel Diario: "Un gesto che // regali l'eliso: questo mi basta, / cosí impervio è il cammino tracciato / dagli iddii a noi mortali". Che casa sia l'"eliso" lo vediamo nella Bufera con lo stesso "gesto" del Diario: "il gesto d'una / vita che non è un'altra ma se stessa, / solo questo ti pone nell'eliso / folto d'anime e 
voci in cui tu vivi" (A mia madre).
Isella ha commentato poesie di Montale; quindi si faccia meglio di me "esperto" seguendo gli esempi che li ho pôrto, senza stare a invocare fantasmatici "esperti" di questa sua vaga distrazione o alienazione. La filologia, fondata sulla tradizione testuale, molto di rado oltrepassa l'archetipo verso l'originale. I grafologi non c'entrano proprio.
Delle reazioni maligne, che quest'ultima sua donna da lui investita avrebbe suscitato, il poeta era ben conscio, sí che apostrofava seccamente quei malevoli: "Deponete la vostra invidia […]". Né che fosse stato stregato: "Qui non c'è un'oscura malia, / né plauso ingiusto". In lei scorgeva la risurrezione della stessa poesia che incarnava: "Spira in lei la stessa armonia / che è nei suoi versi". Pacatamente li esorta a convenire con lui in detta resurrezione: "Lasciate lo spirito perverso / e sentirete che è tornato il canto, / la musica dimenticata / d'un balzo ha ripreso il suo sentiero".
Mi resta da ricordare che il primo che senza ambagi ha affermato genuino il Diario postumo è stato Piero Bigongiari in uno scritto, Il mondo esiste, negli atti d'un convegno montaliano apparsi nell'"Antologia Vieusseux", II, 6, 1996.
Oreste Macrí


Alla mia lettera fece seguito la risposta di Ferruccio De Bortoli.

 

 

 

Il professor Oreste Macrí rifiutò di lasciarsi intervistare, per sfiducia nei confronti del Corriere della Sera.
Inviai quindi la "Lettera aperta alla Mondadori" che Ferruccio De Bortoli m'aveva formalmente richiesta nella sua lettera del 31 agosto.

Lettera aperta ai direttori della Mondadori

Vorrei sapere, perché alcuni direttori della Mondadori lasciano attaccare Diario postumo da loro pubblicato per ben due volte? (1991-1996).
Ed anche, perché rilasciano interviste contraddittorie. Sono complici o vittime?
Spero che non siano "complici" del "complotto" ordito da Isella e dalla "numerata compagnia", "complotto" che mira a scalzare la curatrice designata da Montale per l'opera omnia (la sottoscritta), nonché la curatrice dell'apparato, Rosanna Bettarini.
I direttori delle collane "I Meridiani" e dei "Classici dello Specchio" dovranno prendere posizione, come ha fatto Marco Forti che in una intervista al "Messaggero" diceva che "Tutti gli accertamenti, a suo tempo, sono stati fatti e hanno dato esito positivo". (Renato Minore, "Il Messaggero", 22 luglio 1997).
Per coloro, come Bianca Montale e alcuni consulenti o direttori editoriali, che dicono di non ricordare, riassumerò brevemente. Le tredici lettere-legato, con un testamento del 1978 e il prelegato furono viste nel 1986, non solo in copia conforme ma anche in "autentica", perché l'avvocato Giorgio Jarach le esibí ai legali della casa editrice Mondadori.
Tutto sin dall'inizio fu molto chiaro e, durante i due anni di preparazione del contratto, alla Mondadori ebbero tutto il tempo di verificare ogni particolare.
Infatti il contratto venne stilato dai legali della Mondadori, approvato da Jarach e da me e controfirmato per accettazione da Bianca Montale.
Per il volume che doveva uscire nel 1991, morto Contini, mi proposero Isella, perché lavorava come consulente nella casa editrice, ma risposi che avevo dovuto a malincuore rinunciare a Cesare Segre, perché un legato di Montale indicava Contini, e che quindi avrei scelto, Rosanna Bettarini.
Forti approvò e di comune accordo decidemmo che l'apparato sarebbe stato affidato a Rosanna Bettarini.
Questo l'antefatto, ma oggi si va dicendo che è stata smarrita la corrispondenza tra Bianca Montale, Marco Forti e me.
Ebbene ho una copia completa in serbo, ove troveranno la lettera di Bianca Montale del 1986, nella quale mi scrive:
[…] "Colgo l'occasione per ricordarle, un'altra volta, che le autorizzazioni di Eugenio alla pubblicazione, non la esimono da contatti e accordi con la Mondadori per le poesie che Eugenio le ha donate e anche per la cura dell'opera omnia che le ha attribuita e per il completamento della stessa". […]
E la lettera di Marco Forti del 1986, in cui scrive tra l'altro:
[…] "Previa consegna da te alla Mondadori di tutti i documenti autenticati, […] nonché consegna dalla Mondadori a te dei contratti generali con Eugenio Montale" […]
Perché mai i mondadoriani mi avrebbero dovuto consegnare i contratti generali di Montale? Non certamente per la sola pubblicazione delle poesie postume, ma perché in verità conoscevano i diritti che mi spettavano e la posizione d'erede e curatrice che Montale mi aveva assegnata. 
Ma, a parte la corrispondenza, è il contratto stesso che fa testo e nel contratto si dice che sono depositate le prime tredici lettere-legato e inoltre al punto a) si identifica la lettera-legato del 26.10.1975, con la quale Montale m'affida l'opera omnia. 
Invece alla Mondadori s'è preparata e venduta un'opera omnia che omnia non è, ma in effetti solo una serie di Meridiani. 
Quindi per riassumere: il movente del "complotto" è la curatela dell'opera omnia delle poesie di Eugenio Montale.
Rosanna Bettarini rappresenta anche Gianfranco Contini e ha curato l'apparato e il testo di Diario postumo, ultimo libro di poesie di Montale. È evidente, dunque, che l'apparato Bettarini Contini per i primi sette libri e quello della Bettarini per l'ottavo libro, cioè Diario postumo, dovevano comporre l'opera omnia di poesia, cosí come era stata decisa da Montale stesso, e secondo le Sue disposizioni testamentarie.
La mia curatela si limiterebbe a due righe di ringraziamento a Montale, in calce alla lettera legato, lettera con la quale Montale m'affida la curatela dell'opera omnia e indica Contini per le note filologiche.
Naturalmente, come ho già detto, non m'occuperò del mare magnum della prosa, dato che, in vita, Montale volle affidare le prose e gli articoli ad altri, e non a Contini.
Quando scrissi alla Mondadori e a Isella per ricordare loro che Montale attribuiva al curatela dell'opera omnia a me, e di non parlare in pubblico di opera omnia, ma bensí di meridiani, proprio allora la macchinazione ebbe inizio ad opera di Dante Isella e della "numerata compagnia".
Raboni nel 1986 aveva già lanciato le sue calunnie. 
Isella mi venne proposto nel 1990 per la prefazione e l'apparato.
Nel 1995 Isella si ripropose in veste di prefatore per il Diario postumo e offrí la collaborazione dei suoi allievi per l'apparato.
In seguito al secondo rifiuto e alla lettera riguardante l'opera omnia fu orchestrato il "complotto".
E quando nel febbraio del 1997, dopo la pubblicazione dell'Annuario della Fondazione Schlesinger contenente sia i primi tredici legati che gli undici aperti nel 1996, uscirono due articoli di Vico Faggi, (scrittore, drammaturgo e nella vita giudice), il primo sul "Corriere del Ticino" del 4 aprile e il secondo sul "Secolo XIX" del 6 aprile, il "clan", di persone in malafede, si rese finalmente conto che le prime tredici lettere-legato erano state viste e riconosciute, dalla Mondadori e da Bianca Montale, e depositate sin dal 1988 con il contratto stipulato fra la Mondadori e me.
E cosí la "numerata compagnia" decise di iniziare la battaglia di calunnie e invenzioni per screditare il Diario postumo agli occhi della gente e per delegittimarmi come curatrice dell'"Opera in versi".
Isella ha scritto sul "Corriere della Sera" quel cumulo di invenzioni e inesattezze che lo hanno detronizzato agli occhi del mondo accademico dal ruolo di critico serio.
Alcuni direttori della Mondadori hanno usato la tecnica del pesce in barile, mi devono spiegare gli attuali direttori della Mondadori, perché ritengono più importante l'apparato di Zampa o di Isella, in luogo dei voleri di Montale e dell'apparato critico di Bettarini e Contini?
In fondo la scelta è molto semplice: da una parte ci sono le volontà di Montale, dall'altra quelle dei suoi avversari.
Caro Isella e cara "numerata compagnia" degli avversari, vorrei dirvi che ride bene chi ride ultimo, tanto per usare un proverbio popolare che tutti voi del clan potete capire.
Vorrei inoltre ricordarvi che: un atto notarile è un atto dotato si una efficacia qualificata che non può essere smentito da nessuno e contro il quale nessuno può nulla.
Quindi le lettere-legato e le poesie di Montale, autenticate con atto notarile, esistono a dispetto di tutte le calunnie.
E inoltre, un contratto tra le parti, (Mondadori, Cima) costituisce un rapporto giuridico ben preciso, il cui inadempimento è sanzionato dalla legge.

***

Il 4 settembre del 1997 uscí, su "la Repubblica", un articolo a tutta pagina, di Maria Corti, dal titolo "Montale dopo il parapiglia".
Nel quale la Corti scriveva tra l'altro:
"Nell'autunno del 1973, due anni dopo il nostro colloquio citato, mi trovai per caso in via Bigli da Montale contemporaneamente ad Annalisa Cima, che in passato avevo visto una sola volta…
In quel giorno alla mia presenza Montale consegnò alla Cima un notevole gruppo di fogli manoscritti, ciascuno della misura media di una normale busta da lettera; alcuni erano fogli bianchi, altri gialli paglierino, altri azzurri, oltre a cartoline su cui erano scritti dei versi e fodere di buste da lettera spiegazzate, anch'esse con versi a matita e a penna. Più tardi seppi che i cartoncini colorati erano omaggio di Vanni Scheiwiller, comodi a detta di Montale, per essere riempiti "lontano da qualsiasi sguardo".
Pareva che la segretezza dell'operazione gli stesse particolarmente a cuore in quegli anni. Penso, ma è mia personale supposizione, che nemmeno la preziosa e carissima governante Gina Tiossi ne fosse al corrente. Supposizione che avanzerei anche per l'operazione notarile di autenticazione condotta anni dopo a Milano con più di un notaio alla presenza di Montale (non si dimentichi che era nipote di un notaio!).
Ricordo che la Cima gli domandò se io mi sarei rammaricata che quei manoscritti non venissero al Fondo pavese, ma Montale tagliò corto, informandola che ero già al corrente di tutto".

***

Mentre l'ostilità del "Corriere della Sera" continuava, sottoforma d'insulti diretti a me, a Rosanna Bettarini e a Maria Corti, venne organizzata una Conferenza Stampa promossa dal dottor Paolo Andrea Mettel, che si tenne il 25 di settembre a Milano.

 

 

 

Alla conferenza stampa s'annunciò il Seminario sul "Diario postumo" con mostra dei manoscritti che si tenne a Lugano dal 24 al 26 ottobre 1997.

Al seminario venne letto il saggio di Piero Bigongiari, inviatoci poco tempo prima che morisse.
Vennero inoltre letti brani dei saggi di Manuel Alvar e Oreste Macrí, che non poterono intervenire di persona.

 

 

Anche dopo il Seminario e la mostra dei manoscritti, le calunnie e gli insulti sul "Corriere della Sera" non cessarono. L'avvocato Giuseppe Calabi, allora, consigliò di scrivere un'altra volta a Ferruccio De Bortoli.

 

 

Alla lettera del 6 novembre 1997, che precede, consegnata a mano per il direttore del "Corriere della Sera", Ferruccio De Bortoli, fece seguito una cordiale telefonata con l'intesa di spedirgli la lettera aperta che segue.


Lettera aperta a Dante Isella

Caro Isella, capo gruppo dei cecchini della "numerata compagnia", purtroppo sei dominato dalla frenesia di voler vedere ogni autore mummificato e il tuo sogno nel cassetto è quello di essere il novello Contini e per questo tuo disegno, certo, mancava a coronamento: Montale.
Anche se oggi raccogliere le opere di Montale, non vuol dire uguagliare Contini, però tu volevi provare, per passare alla storia come il grande critico del secondo Novecento o della fine secolo.
Ma con la spregiudicata arroganza che ti contraddistingue, invece di divenire il critico emblema di fine secolo, sei divenuto l'emblema dell'antifilologo di fine secolo, avvalendoti di attribuzioni e metodi falsi.
Lo sappiamo che hai poco tempo, sia per collazionare testi che per leggere i saggi e gli apparati degli altri, ma in compenso hai una grande fretta e desiderio di successo e non ti manca, quindi, l'energia per intrallazzare.
Non leggi e non vuoi mai vedere i manoscritti. Quando curasti "Il Tevere" di Carlo Emilio Gadda per i tipi della Fondazione Schlesinger (1991), ti chiesi, dandoti le fotocopie, se volevi vedere le autentiche che erano a Lugano, mi rispondesti che potevi benissimo lavorare sulle fotocopie. Non chiedesti nulla, in compenso la posta era ben più alta, volevi che t'affidassi la prefazione mentre l'apparato l'avresti, a tuo dire, fatto approntare da un'allieva, più brava della Bettarini.
Lavori come consulente alla Mondadori da molto tempo e il tuo vero lavoro oggi scopro che non è quello del filologo, ma del professore che fa giochi di potere.
La prepotenza ti ha accecato. Il delirio di onnipotenza ormai ti ha portato a sostenere argomenti assurdi. Questo episodio di Diario postumo è la cartina tornasole d'un tuo modo d'agire, infatti, anche nel passato, mi risulta che tu abbia usato metodi sleali.
A Roma durante l'anno montaliano, sfrontatamente, dicesti che le riunioni dovevano essere tenute a Milano, perché dal Po in giù non scendevi volentieri, e quella frase t'avvicinava più a Bossi che a Contini.
Eri giunto con Zampa che ti stava vicino e non parlò mai.
Forte dell'appoggio d'una parte di direttori e consulenti della Mondadori, proditoriamente ti facesti eleggere Presidente, non dai consiglieri come si usa, ma prima che fosse eletto il consiglio stesso.
In pubblico parli bene, ma in privato razzoli male, caro Isella, ormai tutti lo sanno. Non hai saputo, questa volta, mascherare la tua avidità.
Ti è mancato il empo, doveva uscire il Meridiano e tu avevi promesso alla "numerata compagnia" di spiazzare la sottoscritta che deve e vuole solamente eseguire le volontà di Montale, e di mettere da pare anche la filologa, cioè Rosanna Bettarini.
Per realizzare il tuo piano hai voluto sparare colpi di cannone producendo l'effetto di fuochi d'artificio; una piccola festa di paese per la "numerata compagnia".
Caro Isella il mio consiglio è quello di fare qualche viaggio sotto la linea del Po, per divenire un po' più sensibile e spiritoso.
L'anno scorso sei riuscito ad eliminare dal consiglio delle decisioni montaliane, Marco Forti, perché da persona onesta voleva pubblicare Sulla prosa cosí com'era stato preparato da Montale in vita.
Ma tu caro Isella, da grande montaliano, hai buttato l'opera, cosí come Montale la voleva, nel cestino della carta, per fare un grande meridiano, curato dal tuo amico Zampa e con le note dei tuoi allievi.
Bravo Isella, vedo che non smentisci l'opinione che Montale aveva di te. 
"Isella è grossolano, manca d'esprit de finesse, è un accaparratore e nelle sue interpretazioni è un vero tritasassi. Tenta d'esser sempre il primo e poi scivola malamente per la sua mancanza di una profonda preparazione. Quel saggio sui Mottetti, Contini dice che è zeppo d'errori, lapidi per un filologo. Certo oltre che arrivista è anche un menagramo.
Le origini non si smentiscono: suo padre trasportava casse da morto e lui vuole arrivare quando l'autore sta morendo per prendersi un altro cadavere eccellente".
Cosí comincia la parte più severa del giudizio di Montale nelle conversazioni. 
Caro Isella, Montale ebbe un grande dispiacere perché nel 1980 facesti pubblicare dal Saggiatore il tuo commento ai Mottetti, una ventina di giorni prima dell'Opera in versi, curata da Rosanna Bettarini e Gianfranco Contini (Einaudi).
Leggiti quello che ha scritto Montanelli, sul "Corriere della Sera" sabato 23 agosto 1997:
"…Il linciaggio, nel nostro Paese, è pratica corrente. Ed è ora di vergognarsene e di dire cosa c'è, solitamente, al fondo di queste infamie.
"Non una 'sete di giustizia' come si affrettano a dire certi intellettuali di nostra conoscenza, ma soltanto la furbizia vigliacca di schierarsi dalla parte dei giustizieri per mettersi al riparo dai loro furori e indirizzandoli verso un capro espiatorio. Contro una regola che, seppure ignorata dal codice penale, dovrebbe stare scritta a lettere cubitali in quello morale di chiunque ne abbia uno…".
Caro Isella, ed ora a coronamento del tuo bell'agire, moralmente deprecabile, ti sei attorniato di una "numerata compagnia" per linciare le "streghe", visto che non si usano più i roghi.
Complimenti all'accademico, all'uomo, all'antifemminista, complimenti Isella, sei proprio quel "tritasassi" che Montale diceva.


***


La lettera aperta ad Isella non fu pubblicata, e inoltre alcuni appartenenti al gruppo di Isella continuarono a ripetere le loro calunnie, incuranti delle esposizioni dei manoscritti e degli interventi di studiosi al di sopra delle parti.
Non risposi più alle provocazioni e cosí fecero anche Rosanna Bettarini e Maria Corti.
Circa un anno dopo, il 12 ottobre 1998, al Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux si presentarono gli Atti del Seminario sul "Diario postumo" di Eugenio Montale, la Concordanza del "Diario postumo" di Eugenio Montale, a cura di Giuseppe Savoca, Journal posthume, traduzioni di Patrice Dyerval Angelini, Die Worte sprühen. Das postume Tagebuch I, traduzione di Christine Koschel.

 

E allora ripresero le ostioità. Il 16 ottobre 1998 mentre mi trovavo a Firenze per la presentazione al Vieusseux lessi sul "Coriere della Sera" un articolo a firma Giovanni Raboni dal titolo ""Diario postumo": intrighi, complotti e congiure. Ma è solo una farsa", nel quale tra l'altro scriveva:
"[…] dopo un incontro svoltosi al Gabinetto Vieusseux di Firenze, Radio Tre ha 
intervistato la principale protagonista della vicenda, cioè la signora Annalisa 
Cima […]".
Raboni si riferisce ad una intervista che la dottoressa Tiziana Missigoi mi fece per Rai 3 a Firenze in cui ella, acutamente, alludeva ad un complotto ponendomi la prima domanda.
Raboni proseguiva poi scrivendo: 
[…] l'unica persona che potrebbe farla finire… è la stessa Cima la quale resiste strenuamente a qualsiasi richiesta di mettere i manoscritti in questione a disposizione di chi voglia esaminarli […]".

***


In seguito all'articolo di Raboni scrissi una replica accompagnata da una lettera dell'avvocato Giuseppe Calabi. Replica e lettera furono consegnati a mano da Vanni Scheiwiller e Daniela Malvestiti alla signora Ivana Ceriani che li ritirò a nome del direttore, Ferruccio De Bortoli.

 

Lettera aperta a Giovanni Raboni

Gentile Dottor Ferruccio De Bortoli,
Il caro Raboni, di "Intrighi, Complotti e Congiure" è maestro, altrimenti non sarebbe quel RE-CENSORE che è, non avrebbe quel potere che ha.
Nell'articolo che ha pubblicato, venerdí 16 ottobre sul "Corriere", vi sono molte "insensatezze". Prima fra tutte quando definisce "incontro" la serata al Gabinetto Vieusseux di lunedì 12 ottobre.
Infatti, al Vieusseux, su gentile invito del direttore Enzo Siciliano, ancora una volta filologi e critici hanno parlato dell'autenticità del "Diario postumo" di Montale. Angelini, traduttore di "Journal posthume", pubblicato dall'editore Gallimard, ha sottolineato tutti i punti nei quali un bravo traduttore, poeta e critico, riconosce lo stile montaliano.
Le testimonianze, arricchite di nuovi particolari, di Rosanna Bettarini, di Maria Corti, di Giuseppe Savoca si sono alternate a quelle di Vanni Scheiwiller e a un commosso ricordo interpretativo di Alessandro Parrochi, poeta e amico di Montale; personalmente parlai solo di alcune analogie tra una poesia di D'Annunzio e alcuni versi di Montale.
La serata al Vieusseux, quindi, al di là delle polemiche, è stata non un "incontro", ma una tappa importantissima di confronti; una tappa per comprendere meglio Montale e per sbugiardare i calunniatori attraverso decisive testimonianze. Gli "Atti del Seminario sul Diario postumo", editi da Scheiwiller, sono chiari ed eloquenti, comprendono saggi di Manuel Alvar, Rosanna Bettarini, Guido Bezzola, Piero Bigongiari, Giorgio Calcagno, Maria Corti, Roberto Deidier, Vincenzo Di Benedetto, Vico Faggi, Emerico Giachery, Christine Koschel, Gilberto Isella, Oreste Macrí, Angelo Marchese, Noemi Paolini, Alessandro Parronchi, Elio Pecora, Silvio Ramat, Carlo Ferdinando Russo, Giuseppe Sàvoca, Vanni Scheiwiller, Antonietta Selis Venturino, Andrea Zanzotto e il mio.
Nella "Concordanza del Diario postumo", a cura di Giuseppe Sàvoca, edita dall'editore Olschki di Firenze, sono pubblicati in facsimile i manoscritti del Diario.
Ed ora un secondo punto, in cui si è travisata tutta la verità: quando Raboni scrive che Isella non desiderava fare la prefazione al "Diario postumo", perché è "uno dei maggiori filologi italiani" sbaglia. A Isella, infatti, mancava proprio la prefazione a "Diario postumo" per candidarsi alla curatela dell'opera in versi di Montale. Isella ha sempre mirato a essere il novello Contini, come poteva lasciarsi sfuggire un'occasione cosí ghiotta? E sempre a proposito di Isella, non è vera l'affermazione che Raboni mi attribuisce in un'intervista: "siglò pagina per pagina", ho detto, invece, che Isella aveva approvato, per ben due volte, prima nel 1991 e poi nel 1996 le bozze di "Diario postumo", in veste di consulente della Mondadori, a fianco del direttore di collana.
Quando poi ai "cosiddetti" inediti di Montale, che secondo Raboni "avevo cominciato a somministrare a piccole dosi", erano invece pubblicati cosí per volere testamentario di Montale.
Cosa si può replicare a questo cumulo di inesattezze? A frasi surrettizie che mascherano, sotto finte verità, macroscopiche bugie? 
L'unica persona che potrebbe "far finire" questa storia non sono io, come dice Raboni, ma è solo e soltanto il direttore del Corriere della Sera che dovrebbe concedere il diritto di replica a chi è stato vittima di maldicenze.
Poi Raboni ripete, per farlo credere agli allocchi, che "strenuamente" resisto a qualsiasi richiesta di mostrare i manoscritti del "Diario postumo". Niente di più falso.
A Lugano, infatti, durante il Seminario i manoscritti furono tolti dalle teche perché la professoresssa Selis Venturino, perito giudiziario, ne potesse esaminare alcuni, effettuando un confronto con altri manoscritti di Montale.
Anche se positivo, l'esasme grafologico era perfettamente inutile, perché, come ormai tutti sanno, gli autografi di Montale del "Diario postumo" recano l'autentica notarile e furono consegnati nelle mani di due notai e un avvocato, dallo stesso Montale.
Ultimo punto a cui rispondo; quando qualcuno ha richiesto di vedere gli autografi li abbiamo ogni volta esibiti. Gli autografi, inoltre, non sono "sempre da qualche altra parte", ma sono, invece, sempre lí, in una cassetta pressurizzata d'una banca di Lugano, pronti per essere mostrati. Alla Rare Books and Manuscript della Columbia University di New York, vi sono solo le copie conformi.
Tutta la farsa, della "numerata compagnia" guidata da Dante Isella, si basa su falsità, scritte per persone che dovrebbero credere a chi usa il potere per mentire e tentare di annientare gli altri. Ma le carte parlano chiaro e la gente non è cosí come Raboni da cinico "imbonitore" crede. La gente intuisce, anche quando non sa i particolari, da che parte sta la verità, capisce che un'intervista, ignota a tutti, non è che un pretesto pr scagliarsi contro di me. E quinid, solo i liberti, i presenzialisti, i tuttologi che salgono sempre in cattedra, pur di parlare, fingono ancora di credere a questa polemica innescata per interessi personali, per invidie e per vecchi rancori.

 

17 ottobre 1998
Annalisa Cima

 

RABONI IDEÒ IL"COMPLOTTO", MA OGGI
NEGA D'AVER PARTECIPATO

Scrive Raboni sul "Corriere della Sera" del 16 ottobre 1998: "Isella era sí responsabile di una collana di Mondadori, ma si trattava della collana dei Classici e non dello Specchio", invece Isella era, oltreché direttore dei Classici, anche consulente della casa editrice.
Prosegue Raboni alludendo al "complotto": "Terzo: e io, in tutto questo, come diavolo posso entrarci…", ed ecco che con questa ultima frase ed altre sviolinate sulla bravura di Dante Isella "…uno dei maggiori filologi italiani", svela d'essere stato l'ideatore del "complotto" e non estraneo, come vuole farci credere.
Primo: perché Raboni, alla Mondadori, era consulente insieme ad Isella.
Secondo: perché nel 1986, ancora prima che Bianca Montale approvasse le tredici lettere testamentarie, allegate al contratto della Mondadori del 1988, Raboni scrisse un articolo sull'"Europeo", I novembre 1986, dal titolo: "Il poeta innamorato fa il verso dimezzato", per denigrare le poesie di Montale dicendo che erano trascritte da registrazioni.
E fece ciò per poter impedire il contratto con la Mondadori che non era ancora stato stilato e scrisse parlando di me: "…Per il momento… si è limitata a stampare sei poesie in una plaquette fuori commercio, tirata in sole cento copie destinate ai soci o membri di una fondazione svizzera…" e poi ironico nei confronti di Segre scrive "per l'autunno del 1996 dovremmo disporre di tutti e sessantasei i 'gioielli dello scrigno', come li ha definiti il critico Cesare Segre.".
Montale "evidentemente", prosegue il Raboni, "di fronte alle premure di una giovane donna che andava a trovarlo quasi ogni giorno con un registratore nella borsetta…" non seppe resistere. 
E cosí lascia intendere che le poesie erano state registrate e trascritte malamente da me.
Terzo: non è forse Raboni che accusa Montale di plagio, di misfatti in effetti mai commessi, ma semplicemente inventati da Raboni?
La verità è che Eugenio Montale come tutti i grandi poeti, succhiava nettare dagli altri grandi e la poesia ha sempre similarità con la poesia del passato.
Sin da quando Raboni, decise di pubblicare le mie poesie nelle Edizioni di Guanda ("Sesamon", con prefazione di Cesare Segre, 1977), avevo intuito la subdola perversione che si nascondeva dietro quella faccia da: fliace travestito da poeta, come scrisse Montale in una poesia di Diario postumo dal titolo "È solo un vizio".

 

23 ottobre 1998

Annalisa Cima